In un racconto di alcuni anni fa, Etgar Keret scriveva che, di fatto, ogni storia nasce grazie a un prevedibile imprevisto. «All’improvviso bussano alla porta», scrive, e da quel momento il mondo non è più lo stesso. In quel racconto, la percussione delle nocche contro il legno della porta era l’abbrivio che la realtà prendeva per poi fare irruzione nell’appartamento dell’io narrante. «Raccontami una storia», ordinavano poi gli intrusi, e l’io narrante cominciava. L’evento imprevisto, atteso dal lettore in combutta con l’autore, mette sottosopra la realtà, dice Keret. Tutto cambia, e in fondo meno male. Non sappiamo mai cosa ne sarà del mondo dopo l’irruzione delle cose, ma quella storia dovremo raccontarla.

Laurent Mauvignier, coetaneo di Keret (entrambi del 1967), rovescia l’intuizione dello scrittore israeliano in maniera decisiva. All’improvviso qualcosa arriva sempre a traumatizzare il presente delle cose, ma il mondo, tutto intorno, resta uguale. Se per Keret l’accadimento, bello o brutto che sia, è comunque un generatore di storie, per Mauvignier – tra i più significativi scrittori francesi in attività – un evento non scalfirà mai l’indifferenza generale, per quanto devastante. Quasi programmatico, da questo punto di vista, era Storia di un oblio (Feltrinelli, 2012), dove un uomo, reo di aver rubato una lattina di birra in un supermercato, veniva trascinato da quattro vigilantes nel magazzino e lì massacrato di botte. Mentre l’uomo moriva, alle casse del supermercato il mondo continuava indisturbato nella sua meccanica di dare e avere, di desideri automatici, bisogni primari, scontrini rilasciati alla fine dell’acquisto.
Dagli scaffali i prodotti finivano nei carrelli, dai carrelli dentro le borse di nylon, quindi nei bagagliai delle auto e poi sistemati nelle dispense di migliaia di cucine. Non era nemmeno una storia, quella che raccontava Mauvignier, e infatti solo nell’edizione italiana è comparsa la parola «storia», mentre l’originale titolava Ce que j’appelle oubli. Era oblio, senza storie di consolazione.

In Intorno al mondo, appena pubblicato da Feltrinelli nella traduzione di Yasmina Melouah (pp. 320, euro 18,00) Mauvignier porta questa poetica dell’indifferenza alla sua evidenza planetaria. In apertura, il terremoto devasta il Giappone: una coppia di amanti, ebbri di mezcal, vengono travolti dalla furia della terra e del mare, dalla loro intrinseca forza distruttiva.

Lui, Guillermo, morirà, e non ne resterà più niente. Lei, Yoko, si salverà, e tutto sommato non ne resterà niente lo stesso, dal momento che non rappresenta se non un infinitesimo del mondo, che per parte sua continuerà indisturbato nella sua rivoluzione intorno all’asse.
«Alla fine l’acqua perderà parte di quello che avrà strappato alla terra. Alla fine l’acqua si ritirerà. Alla fine lascerà il terreno conquistato».
E oltre: «Fra poco ci sarà l’attesa, la paura e il nome di Fukushima riecheggerà alle orecchie del mondo intero come quello di un incubo a occhi aperti. L’onda, invece, continuerà indifferente la propria strada. Fra un anno lo tsunami continuerà a colpire – quasi privo di forza, ormai infiacchito – dall’altra parte del pianeta. E tuttavia avrà ancora abbastanza foga per gettarsi contro gli iceberg in pieno Mare del Nord. Avrà percorso la Terra come a ricordare che tutti gli elementi del mondo sono in una maniera o nell’altra collegati fra loro e si toccano gli uni con gli altri. Sarà spompato, quasi muto, a fine corsa. Pressoché nulla, un’onda di una trentina di centimetri, quanto basta appena per travolgere un uomo a farlo cadere».

Intorno al mondo è la storia dello svanire di quell’onda, dello tsunami che diventa – o meglio che è – acqua calma negli altri angoli del pianeta e sopratttutto nella coscienza degli uomini. Quattordici storie che si dipanano in contemporanea dalla Florida alla Slovenia, dall’Africa a Dubai a Mosca, raccontano insieme, declinandola per fenomenologie tutto sommato ordinarie, l’indifferenza a qualsiasi cataclisma, pur dentro cataclismi privati.

Il Giappone di Intorno al mondo è il retro dello sgabuzzino di Storia di un oblio, e fuori l’umanità rotola in derive personali, trascurabili per chi non è coinvolto in prima persona. Per quanto atroce – ed è atroce il mondo che racconta Mauvignier –, la vita non sarà, a dir tanto, se non un istante nella vita di un altro, immagini di devastazioni naturali passate al telegiornale tra altre notizie, a sandwich tra due pubblicità.

Come ogni vero scrittore, Laurent Mauvignier sa però che la partita si gioca nello stile. Sa bene, cioè, che non c’è poetica limitata ai soggetti trattati, di per sé – anche in questo romanzo – arbitrari. Senza il rischio corso nello stile, Intorno al mondo si risolverebbe in una trovata buona ma nemmeno così folgorante. Ma già a partire da Degli uomini (Feltrinelli, 2010) la forza singolare di questo autore stava dentro la morsa stretta dal linguaggio intorno al collo dei suoi personaggi. A partire da quel Bernard – il protagonista, soprannominato Fuoco di legna – che faceva irruzione nella vita di una famiglia della provincia francese messa in sicurezza grazie al conformismo, ma che viene minata dallo tsunami di un uomo con la guerra dentro. È quella guerra il nodo, anche stilistico, di Mauvignier.

È grazie a quella traumatizzazione anche del linguaggio, che la sua prosa arriva a sconvolgere il lettore, con movimenti sussultori che in questo romanzo si fanno vertiginosi, anche per via dei cambi di registro dovuti alla successione delle storie.
È per questo che, ancora una volta, va reso merito alla traduzione, perché quella di Yasmina Melaouah, già traduttrice dei tre libri di Mauvignier pubblicati da Feltrinelli, è un’impresa riuscita. Alla quale ci si augura che si sommi, presto, la ripresa della Camera bianca e diLontano da loro, pubblicati da Zandonai nel 2008.