Quando, il 4 ottobre, 1974, Anne Sexton si spogliò, indossò solo una pelliccia della madre, si versò l’ultimo bicchiere di vodka e poi si chiuse nel garage per suicidarsi con il monossido di carbonio, non si lasciava dietro nessuna autobiografia. Il suo tormento e i segreti della sua anima li aveva affidati alle poesie per cui aveva ottenuto nel 1967 il Pulitzer, alle lettere spedite ad alcuni amici, soprattutto al maestro riconosciuto W. D. Snodgrass, alle registrazioni che il suo psicoanalista usava e che, con scelta discutibile, mise poi a disposizione di Diane Middlebrook per la sua biografia della poeta.

QUANDO SI UCCISE, come aveva provato già a fare alcune volte e progettato infinite altre, Anne Sexton aveva 46 anni. Era bellissima e pazza, era promiscua e disperata, entrava e usciva dalle cliniche psichiatriche, si imbottiva di pillole di ogni tipo, forse era stata molestata dal padre e la figlia la accusò di aggressione sessuale. Come l’amica Sylvia Plath, che si era tolta la vita undici anni prima, l’ombra della morte, la tentazione del suicidio e una metodica autodistruzione erano state sue compagne di ogni giorno e tuttavia, a modo suo, Anne Sexton amava la vita.

ERA UNA DONNA in frantumi che riusciva a riannodare il filo della sua esistenza spezzata solo scrivendo. Nelle sue poesie c’era di tutto, anche quello di fronte a cui la poesia dell’epoca inorridiva: le mestruazioni e la ricerca di dio, la masturbazione e l’onnipresenza della morte, il dolore di una figlia maltrattata e quello di una madre incapace di assolvere al proprio ruolo. Non era così che si faceva poesia negli Usa degli anni ’60. Anne siglò una rivoluzione. Fu una delle voci più eminenti e tormentate di quel decennio che capovolgeva il senso comune e le regole come calzini vecchi.
L’autobiografia che Anne Sexton non ha mai scritto, la parabola delle sue emozioni, la cronaca del suo inferno che a tratti sapeva diventare paradiso e la verità nascosta dietro il disastro della sua vita, la ha scritta per lei, in prima persona, come se a raccontarsi fosse la poetessa, Irene Di Caccamo in Dio nella macchina da scrivere (La Nave di Teseo, pp.262, euro 18). Si tratta di un romanzo, non di una biografia travestita. Di Caccamo sorvola su episodi importanti della vita di Anne Sexton, ne modifica altri, salta interi anni. Soprattutto si disinteressa ai cambiamenti del personaggio che ha scelto di incarnare nel corso del tempo. Mira a fissare il quadro di una mente sconvolta ma capace di creare e forse così fertile proprio perché disastrata.

LA SCRITTRICE italiana esce in questo libro vincente da una doppia sfida: si dimostra capace di usare le parole per descrivere una donna che solo grazie alle parole riusciva a dare un senso alla propria vita e di adoperare l’empatia per fare proprie le sue emozioni sfuggite a ogni controllo, i suoi pensieri frammentati, la sua solitudine.

L’IO NARRANTE è dunque un mix di Anne Sexton, della quale sono citate alcune lettere originali (mentre altre sono inventate), e della scrittrice italiana. Di Caccamo usa il suo omaggio alla poeta maledetta degli anni ’60 per creare un personaggio che riassuma nel proprio tormento e nella propria forza espressiva un’intera generazione di artiste che forzavano i limiti imposti alle donne, anche alle più estrose. Ma il suo libro si può leggere anche come una descrizione commossa della faccia nascosta della grande esplosione creativa degli anni ’60, in generale ma in particolare per le donne di quella generazione. Il combattimento per dare voce a quel mondo interiore e segreto, per forzare vincoli tanto più stringenti perché interiorizzati e non unicamente imposti dall’esterno, non fu solo l’esplosione colorata della Swingin’ London o di Haight-Ashbury. Fu un corpo a corpo sanguinoso e contò le sue vittime, come Anne Sexton, Sylvia Plath, ma anche Marilyn Monroe, Edie Sedgwick…
È una sfida vinta. In questo suo secondo romanzo, dopo il premiato L’amore imperfetto del 2011 Irene Di Caccamo, dialoghista e doppiatrice oltre che scrittrice, trova esattamente quel che cercava: la voce adeguata per raccontare il romanzo non di una vita ma di una mente e di un’anima.