Per ora lo può vedere soltanto chi vive a Milano dove da qualche giorno è in sala al Cinema Mexico, eppure è stato uno degli esordi più luminosi dell’anno scorso, la prova di un giovane cineasta sul quale bisognerà tenere desta l’attenzione. Stiamo parlando di Antonia, opera prima di Ferdinando Cito Filomarino che si era già fatto notare con il cortometraggio Diarchia, un gioco di seduzione ironico e elegante affidato all’incontro tra Riccardo Scamarcio e Louis Garrel (con una incursione di Alba Rohrwacher). E questa fatica a trovare uno spazio sui nostri schermi appare tanto più paradossale di fronte alle celebrazioni del cinema italiano trionfante alla Berlinale e ai molti discorsi che hanno accompagnato il prima e dopo la nuova legge cinema, tutti centrati sulla «necessità» del sostegno alla produzione nazionale (tra l’altro questo film ha avuto i finanziamenti ministeriali e la Rai). Ma cosa dire allora della distribuzione che è la cosa più importante?

 

 

Antonia – finora in Italia presentato a Milano, in chiusura di Filmmaker 2015 e al Torino film festival – è la poetessa Antonia Pozzi, morta nel 1938, a ventisei anni, senza vedere mai pubblicate le sue poesie. Eppure Montale ne elogerà la maturità poetica scrivendo la prefazione all’opera uscita postuma, ma quella giovane ragazza era forse (troppo) lontana dal suo tempo, non sintonizzata con quanto questo imponeva, coi ruoli e i riti degli ambienti borghesi familiari e dell’atmosfera intorno a lei, l’Italia fascista che scivolava verso la seconda guerra mondiale. Questo almeno è quanto dicono i suoi versi che stridono con l’autoritarismo paterno e il controllo che impone alla sua vita – dopo la morte della figlia l’avvocato Pozzi fece pubblicare le poesie ma eliminandone molte che probabilmente valutava «scandalose» – la casa elegante in cui l’adolescente Antonia cerca una impossibile libertà, anche soltanto un gesto che rompa la norma dell’esistenza.

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Al liceo già ama la poesia, si innamora del professore con cui condivide letture e scoperte. Un amore clandestino, quasi imbarazzato, lui soprattutto che viene infine messo alla porta dal padre di lei (differenze di classe). All’università, la Statale, Antonia è amica di Remo Cantoni e di Vittorio Sereni, nei suoi quaderni continua a comporre la trama fitta dell’anima e del suo corpo a corpo col mondo. Irruenza, desiderio di amare, il disagio a volte nella severità degli abiti (splendidi i costumi di Ursula Patzak), il piacere della natura, le lunghe passeggiate sulla Grigna, le adorate montagne che Antonia Pozzi fotografa. E altri amori, il sentimento fragile del futuro buio che sta per arrivare di cui coglie le ombre dolorose.

 

 

 

 

Ma non è un biopic il film di Ferdinando Cito Filomarino, e non perché di Antonia Pozzi racconta gli ultimi dieci anni di vita fino al suicidio sul prato davanti all’Abbazia di Chiaravalle. Complice la magnifica Linda Caridi, che incarna la protagonista, il regista prova a rendere il suo universo poetico immagine e narrazione. È dunque il respiro della poesia ( di cui coglie i fraseggi più intimi il montaggio di Walter Fasano) che racconta la figura di Antonia Pozzi, e che trova corrispondenza in un corpo sottile, nell’incarnato bianchissimo, nei sorrisi: un passo di danza, l’erotismo delle mani in movimento. Antonia è lì, il suo essere sono i suoi versi che non vengono declamati – quelle cose terribili a cui si assiste nei film dedicati ai poeti – ma resi visibili e anche «mostrati» sulle pagine scritte che siamo noi spettatori a leggere.

 

 

 

Cito Filomarino filma la parola, la sua essenza e la sua forma, la lascia fluire nelle immagini illuminate da Sayombhu Mukdeepkon (direttore della fotografia di Apichatpong Weerasethakul), un’eleganza che è misura di un componimento essenziale, mai un eccesso, una caduta retorica, la tentazione del «bello» fine a se stesso. Antonia Pozzi vive in questo universo, sulla linea di un conflitto che è appunto la distanza dal proprio tempo, la ricerca di uno spazio in cui riconoscersi nell’estraneità della casa, della città, del mondo. Ed è questo che rende il suo «romanzo di formazione» contemporaneo.

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D’altra parte non è la grandezza della poesia superare la contigenza per esprimere qualcosa in cui tutti, in ogni epoca si possono riconoscere? C’è un’empatia rara tra lo sguardo del regista e il personaggio del suo film, che commuove e che appassiona. Nei suoi silenzi, nella tristezza, negli scoppi di improvvisa allegria Antonia ci appare piena di vita, nonostante tutto. Poesia dell’esistenza e del cinema.