Maurizio Cucchi è tornato recentemente con una nuova raccolta poetica per la bianca di Einaudi, il titolo, Paradossalmente e con affanno (pp.64, euro 10), come ricorda in nota l’autore, è preso da una vecchia plaquette che uscì fuori commercio alla fine del ’70; il volume comprende inediti che vanno dal ’63 al ’69 e, nella parte finale, è un prosimetro recente dal titolo La sciostra, («magazzino» in milanese).

A leggerli, questi testi degli anni ’60 coi loro toni frammentati, stilisticamente vari, dotati già di quel rigore nella ricercatezza formale, ci sembrano a cinquant’anni di distanza, così nuovi e applicabili all’oggi. In una parola questi versi per forza emotiva ed espressiva non sembrano passare: «Se le campane dànno rintocchi/ solamente metallici e i nostri volti/ sono volti scombiccherati ed assurdi/ le nostre frasi talvolta sconnesse,/ non ti meravigliare:/ siamo orfani di padre».

UNO DEI GRANDI poeti del secondo novecento, Giovanni Raboni, profondo conoscitore di ciò che è davvero letteratura, di Cucchi disse in bandella di copertina a Il Disperso, opera pubblicata per lo Specchio Mondadori nel ’76: «fedele ai propri temi sino all’ossessione, Cucchi ci dà con Il disperso, oltre che uno dei più sicuri libri di poesia di questi anni, un vero romanzo milanese». E infatti sono già chiari in questi inediti, gli argomenti d’indagine che poi l’autore svolgerà in seguito nella sua produzione poetica e narrativa. Per Cucchi dunque la parola deve dire il reale descrivendolo e cucendolo apertis verbis nei minimi particolari, tanto il quotidiano è complesso e vario. Di ogni figura recupera le sue tracce perdute dando di essa una fotografia plurima e diacronica, facendola apparire nel testo non solo per ciò che è ma anche per ciò che è stata.

LE IMMAGINI che traversano la pagina sono così vive e dotate di quel senso del tragico e grottesco al tempo stesso, che quasi sembra spicchino il volo per divenire qualcosa di metafisico, imprendibile e leggero: «Osserva – Sabatino – attento/ i miei consigli.//A passo felpato/ sgattaiola dall’uscio/ e sulla scala inosservato/ curando attentamente/ di celare la tua disinvoltura / latente.// Troverai la madre anziana/ che ti segue, e ti sorveglia/ ma circospetto percorri i tuoi passi».

E nella prosa-storia intitolata appunto Grottesco (datata ’64) come non sentire tra le righe la voce cittadina del grande Delio Tessa che sembra riapparire e sparire nel tranvài urbano o anche l’incantamento fantasmatico di Lucio Piccolo: «Ma, alzando gli occhi, Salvioni si avvide che l’intera vettura era ricoperta di polvere. Dai sedili al pavimento, dai finestrini ai sostegni, tutto sembrava essere uscito da una vecchia cantina». Perché anche in questo già Cucchi rielaborava le voci alte della letteratura attraverso la sua propria, precipua. Nell’incantevole poemetto-prosa finale – La sciostra – in cui sembrano affollarsi le storie de La traversata di Milano, Le meraviglie dell’acqua, Vite pulviscolari, ecco condensarsi per chi voglia intenderlo, un piccolo memoir di ciò che occorre fare se si vuol scrivere poesia o cercare di abbozzarla: camminare, osservare e osservando misurarsi con i frammenti di cose e dell’umano che rappresentano tempo, luoghi, voci, che paiono talvolta stridere col camminatore, tal’altra andarvi a braccetto: «la Martesana, costeggiata/ da quella dolce strada adatta al vero,/ al vero uomo, al classico viandante,/ al curioso del mondo che va».

MAURIZIO CUCCHI ci vuol forse dire che il nostro presente, non è mai fissato una volta e per sempre, occorre continuamente riformularlo, perché la serie di indizi che ci porta a esso, può d’un colpo variare ed ecco allora che le storie parse in un certo modo prendono un’altra via, assumono un altro tono. Scriveva Valerio Magrelli a proposito de Il disperso rieditato da Guanda nel ’84: «Difficile indicare con esattezza i protagonisti delle storie raccontate. Dietro l’eroe sfilano i testimoni di un incidente, di un crimine, di una vita»; e in questa come in tutta la sua produzione poetica sino a Malaspina, Cucchi ci riporta non solo la storia di qualcuno, ma anche le contiguità di questo qualcuno con qualcosa d’altro, per ricostruire la tela di ogni vita, di ogni luogo; starà poi al lettore ricucire questo intreccio combinatorio o lasciarlo in libertà, altra opzione possibile: «Sul fianco, tra i badili, le vanghe,/ la carriola, una catasta di legna, quindi/ lo schifo di pomodori spappolati,/ quasi oramai muffi, putridi».

Ecco dunque gli strumenti affilati di Maurizio Cucchi per interpretare il reale; l’ironia ma non troppo, il grottesco di ogni giorno, la pietà per le debolezze umane che sono lì a vestire tante figure e il senso d’amicizia che si condensa al riemergere di qualche nome come ancora, in questo libro, Giuseppe: «per gli amici “El Pinin”» la cui origine non è certa e mai lo sarà ma è certo il senso di vicinanza che le parole gli formano attorno. All’interno della costellazione poetica di Cucchi, comprendendo anche Paradossalmente e con affanno, vi è allora rappresentata una educazione sentimentale alla vita, dove la ricercatezza formale e contenutistica insieme al senso estetico convergono nel quotidiano, facendolo divenire non più cronaca sommaria ma altro da sé, il mistero della vita, di ogni vita.