La rivista filosofica «Kaiak», che usualmente è online, ha deciso nel 2016 di proporre il primo annuario stampato: Sottosuoli (Mimesis, euro 25). Lo curano Gianvito Brindisi, Vincenzo Cuomo e Eleonora de Conciliis, che hanno raccolto su questo tema ispirato al celebre racconto dostoevskijano un buon numero di saggi, oltre ai propri, di argomento molto vario.

POLITICA, ARTI, RELIGIONE, psicoanalisi, o per lo meno gli atteggiamenti culturali che accompagnano queste prassi sociali, sembrano aver trovato spazio di rappresentazione e coinvolgimento in questa indagine, che complessivamente ha sì un carattere filosofico, e tuttavia ha anche uno spirito propositivo nello scovare modalità di rifarsi all’immagine del sottosuolo.

Inferi, profondità telluriche, cospirazioni socio-politiche, emarginazioni sociali, passioni segrete e indicibili, riti macabri, conoscenze sepolte, motivazioni inconsce, piano piano nelle pagine dei saggisti emergono e vanno a riallacciarsi a temi varissimi del nostro mondo ben visibile, anzi esposto, pubblico insomma. La democrazia e il potere, la felicità e il benessere, la giustizia e la legge, la vita e la morte, il corpo e il cadavere, la casa e la città, gli oggetti e i prodotti delle arti. Il risultato della chiamata di studiosi di settori diversi della cultura è quello di creare un puzzle tridimensionale, dando forma a una volontà di scavo che alla mappatura predilige la proiezione ortogonale, almeno.

SI LEGGE NELL’EDITORIALE che fa da introduzione: «è nel sottosuolo che corrono i fili che consentono alla rete (…) di legare, non di rado oscenamente, gruppi disparati. Quanto alla terra, in essa giacciono, insieme ai morti, le più neglette ma anche più necessarie declinazioni naturali e culturali delle metamorfosi. Cercheremo dunque di vedere nel sottosuolo non soltanto un luoghi di malattia e malvagità di abiezione e degrado, ma anche di scavo. Sotto terra fermenta il reale». Da queste parole si capisce che lo scopo della raccolta non è solo quello di far luce su cosa e quanto sia rimasto, nel mondo contemporaneo, di questa poderosa immagine del mondo del sottosuolo.

Ma anche di coniare un metodo di indagine, e di relazione, che riconquisti la voglia di cercare in profondità, aggirando l’ebrezza dell’evidenza, il mito della trasparenza, l’illusione del controllo. I curatori partano dalla constatazione che il fascino per il meandro nascosto sotto la superficie sia ormai tramontato; e non perché non si abbia più paura di ciò che non si conosce, e si abbia coscienza e pratica di un rapporto franco e diretto con le cose.

TUTTO ALL’INVERSO, la paura del non visibile, dell’inaspettato è tanta, e tanto è stata fatta lievitare da aver prodotto, o per dominio o per desistenza, una sopraffina arte della levigazione, dell’otturazione dei pori, della riduzione dello spazio alla superficie. In realtà su tante cose dell’anima umana, su tanti oggetti e persone del mondo, sono stati lanciati badilate di terriccio, provocando una sepoltura innaturale. E non siamo zombie.

Il rischio di passare alla condizione di non creature lo si percepisce, e lo si sconta prima di tutto nelle istituzioni. In un sistema di formazione che a ogni grado vuole creare un’equazione tra istruzione ed economia; in un sistema della ricerca dominata dall’accelerazione del tempo tra studio e applicazione; nelle azioni dei governi e nei dibattiti tra partiti, che hanno appiattito a poche tematiche la discussione e la progettazione politica.

E LO SI VEDE anche nella predisposizione individuale a non volersi sentire ai margini, neppure per le cose più banali, anzi a disperarsi per qualsiasi imputazione di stranezza. Riappropriarsi di una coscienza del sottosuolo non sarà una cura ma ha già il sapore di una liberazione.