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La più berlusconiana delle riforme

La più berlusconiana delle riformeIl presidente del consiglio, Matteo Renzi – Lapresse

Tasse Il cambio di strategia del premier: puntare sul fisco per strappare i voti a destra in vista delle comunali

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 21 luglio 2015

Il fisco, le riforme istituzionali: piani distinti, che non dovrebbero intrecciarsi e che invece Matteo Renzi ha coniugato, nel week-end di lancio della campagna sulle tasse. La più berlusconiana di tutte. «Taglierò le tasse se si fanno le riforme»: giusto per tenere sotto scacco e ricatto quella minoranza Pd che minaccia la riforme.

In realtà, però, è la natura stessa dell’intervento sul fisco promesso da Renzi che fa storcere il naso alla sua minoranza interna, e per dirlo scendono in campo i pezzi da 90. L’ex ministro delle Finanze Visco, che rinfaccia al premier di aver lasciato cadere la lotta contro l’evasione fiscale, e l’ex segretario Bersani, che su Fb mette il dito nella piaga: «E’ giusto ridurre il carico fiscale, ma c’è modo e modo. Non si vorrà certo tirare la volata al modo della destra!».

Parole al vento: pescare nel bacino della destra e del berlusconismo in sfacelo è precisamente ciò che Renzi va cercando. Molto più importante del rimbrotto bersaniano è per lui il plauso del presidente di Confindustria Squinzi: «Renzi va nella giusta direzione. Ci contiamo tutti». E lo sbandamento della destra presa in contropiede, con un avversario che parla lo stesso linguaggio, deve aver riempito di soddisfazione l’uomo di palazzo Chigi. Il coro, da Brunetta a Mara Carfagna, è monocorde: «Ma i soldi dove li trova?». Bella domanda. Però da che pulpito! Guarda caso, è giusto la medesima domandina che veniva continuamente posta a Berlusconi, senza mai trovare adeguata risposta.

Di sfuggita, preso dalla foga dell’annuncio, che sempre e da sempre lo trascina troppo, Renzi ha pure promesso di cancellare una tassa che non esiste più, l’Imu sulla prima casa. Glielo fa notare Loredana De Petris, Sel, ricordando che a quel taglio seguì a stretto giro il raddoppio della Tasi: vedi mai dovesse finire così pure stavolta. Nessun altro, né fra i politici né fra i giornalisti, si mostra tanto poco cortese da sottolineare la topica del grande annunciatore. Non starebbe bene.

Sì, ma le riforme? Giusta o sbagliata e che sia la riforma fiscale promessa dal premier, con la riscrittura della Carta che c’azzecca. Qualche rapporto, magari non tanto vistoso, per la verità c’è. L’offensiva d’estate lanciata dal conducator sul fronte del fisco equivale a un drastico cambio di strategia, eseguito con la rapidità e la determinazione che neppure i più severi critici possono negare all’uomo. Il fatto è che le riforme navigano in cattive acque. Che passino entro il 15 di settembre è possibile, me tutt’altro che certo. Che vengano approvate è probabile, pur se non sicurissimo, ma che l’agognato traguardo sia raggiunto senza il fondamentale apporto dei capibastone Lombardo e Cosentino, pardon dei loro gagliardi scherani arruolati nel gruppo di ventura di Denis Verdini al Senato, è quasi impossibile. Su quel fronte, Renzi rischia di perdere voti più che di guadagnarne.

Di qui il fulmineo cambio di rotta. Ai signori di Bruxelles verrà sì regalata la testa della democrazia parlamentare: in fondo le riforme costituzionali sono da sempre un presente per loro. Ma al popolo votante verrà invece offerto ciò che chiede: una boccata d’aria nella camera a gas della pressione fiscale. Dunque la partita, adesso, Renzi non pensa più di giocarla sulle schede del referendum, ma su quelle delle prossime elezioni comunali, in primavera. Già sono un test più che rilevante. Potrebbero e anzi dovrebbero lievitare di spessore se, come nei progetti del presidente-segretario, alla lista dei governi locali in lizza si aggiungessero Roma e la Sicilia. Berlusconi docet: con la promessa del taglio delle tasse sul tavolo il trionfo dovrebbe essere garantito.

La leva, inoltre, dovrebbe funzionare nei sogni di palazzo Chigi anche sul fronte delle riforme: una parte dei voti mancanti verranno recuperati adoperando i due satelliti creati ad hoc: quello di Verdini, che salvo rinvii dovrebbe nascere proprio questa settimana saccheggiando il Gal più che Fi, e la nuova Idv a vocazione vassalla. Bisogna però che almeno una parte cospicua dei 25 ribelli del Pd torni sui propri passi. Il lavoro a uomo è già in fase avanzata. Da palazzo Chigi fanno capire che qualcuno è già stato riportato all’ovile, e chissà se è vero. In cabina di regia contano di recuperare una buona metà della dissenziente truppa.

Certo, cambiare così radicalmente il piano d’attacco comporta uno slittamento del referendum sulle riforme dal giugno al settembre 2016. Poco male, tanto più che accompagnarlo alle elezioni di primavera non pare più tanto conveniente. E per votare nel 2017, dopo aver portato a termine la prima e più economica parte della riforma fiscale ma prima di doversi misurare con le cime più impervie, il referendum d’ottobre va di lusso.

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