Il 24 aprile del 1872 il Vesuvio è in eruzione. Giuseppe De Nittis esegue La pioggia di cenere, un olio su tela di ridotte dimensioni (42×28,5 cm) che il pittore firma e data (26 aprile 72 De Nittis Resina), oggi conservato a Firenze presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna. L’immagine intende restituire l’impressione di enormità che prende di fronte ad una esplosione che dura, che si espande in fumi e lapilli fino a coprire d’una cappa oscura l’arco intero del cielo.

La resa pittorica fa ricorso ad impasti cromatici, capaci di restituire una materia informe in dilatazione, a mezzo di pennellate ampie, condotte a realizzare un effetto di evanescenza e di indefinito. Così De Nittis invade di dense nubi, di vapori e polvere, amalgamando grigi ferrigni e bianchi sporchi, a calare dal bordo superiore, due terzi della tela.

Nel terzo restante, in basso, fino al bordo inferiore, sotto la coltre che incombe, gruppi sparsi di fuggitivi avanzano su un largo stradale arido e sabbioso. Ne intravedi da un lato, a sinistra, un parapetto basso che lo delimita e, sulla destra, scorgi un edificio a tre piani dall’intonaco pompeiano, di color rosso. Sono donne, in testa fazzoletti, avvolte in scialli e zinali, le lunghe gonne. Portano fagotti e ceste e corrono loro accanto bambini. In primo piano, costei tiene penzolante un pollo e, sotto l’altro braccio, un sacco gonfio. E sono uomini che trascinano carretti di masserizie. Alcuni carichi, sulle spalle, di materassi. Vedi, più lontano, avanzare qualche carroccio col cavallo alle stanghe e, sotto un grande ombrello, numerosi sfollati.

De Nittis esegue con veloce abilità bozzettistica le sagome e le figurine desolate dei fuggiaschi. Rapidi, precisi tocchi che in punta di pennello tracciano fin la stoffa rigata dei materassi arrotolati da portare in salvo, le cocche dei sacchi di tela ruvida imbottiti di stracci, le maniche delle camice bianche arrotolate. Virtuosismi che avevano stupito a Parigi il pubblico degli amatori e dei collezionisti.

Ne La pioggia di cenere tale minuzia descrittiva si contrappone alla zona della tela che raffigura le ceneri dell’eruzione, la descrizione delle quali è affidata ad una stesura vaporosa. Sicché il contrasto si avverte in pieno quando si constata che i due registri pittorici impongono due livelli giustapposti di osservazione. Una distonia, una diffrazione. Si dirà che la tela ottiene un facile effetto sul piano banalmente illustrativo, ma a prezzo delle coerenze interne, di esecuzione e di forma oltre che di integrità tematica, necessarie ad un’opera di pittura. Nel caso di La pioggia di cenere, tuttavia, il tratto di reportage (un inviato a Napoli durante i giorni dell’eruzione del Vesuvio) ne garantisce il successo sul mercato dell’arte.

De Nittis, a partire dal gennaio di quell’anno 1872, ha sottoscritto un vantaggioso contratto con il mercante parigino Alfred Goupil. Invia al mercante alcune opere eseguite in primavera sulle falde del Vesuvio. Il pittore le trasceglie tra quante noi contiamo nel suo catalogo per lo più sotto il titolo di Paesaggio vesuviano, o di Sulle pendici del Vesuvio (I-VIII), o di Impressione del Vesuvio (I-XXIII). Esigue tavolette di meravigliosa perfezione, pochi centimetri quadrati, un vertice assoluto che si pone come uno dei punti di partenza (di non ritorno?) della pittura contemporanea. Una, dal titolo Lave del Vesuvio, riceve dal mercante questo apprezzamento, espresso in una lettera inviata a De Nittis da Parigi il 27 luglio: «questa massa nera che avrebbe potuto risultare interessante per tutti se lei l’avesse animata con qualche figura, diventa invece monotona e poco interessante».

Nella stessa lettera Goupil avverte il giovane pittore (De Nittis conta nel 1872 ventisei anni) destinato a grande successo: «Non basta fare un bel quadro dal punto di vista dell’arte, bensì occorre anche farlo in tal maniera, intendo comporlo in tal modo, che lo renda di un interesse alla portata di tutti e lo faccia comperare spuntando un prezzo remunerativo». De Nittis cede. Si costringe alla pura applicazione del suo talento in ossequio al gusto dominante. Entro l’anno, amaramente titola una sua patinata, luminosa tela La discesa dal Vesuvio.