Il primo ballo della debuttante va in scena su un palcoscenico che è leggenda. Allo scoccare della mezzanotte di oggi, la piccola Bosnia comincerà il suo primo mondiale al Maracanã, contro l’Argentina di Messi, Aguero, Di Maria e Lavezzi. Detta così, sembra una partita già senza storia, destinata a finire poco dopo il calcio d’inizio, con i sudamericani padroni del campo a fare la parte del gatto famelico che si diverte con il topolino stretto in un angolo. Una trama scritta.

Ma il grande sceneggiatore che scrive e riscrive la storia del calcio ha inserito un particolare nel plot, la classica pistola che appare all’inizio e che prima o poi sparerà: la Bosnia non è una vittima sacrificale, la Bosnia gioca a pallone sul serio, altroché: in Brasile ci è arrivata dopo aver vinto il suo girone di qualificazione, non per caso. D’altra parte, le squadre sorte dalla frammentazione della ex Yugoslavia sono tutte così: promettono molto bene, anche se poi prevedere come andranno le cose è praticamente impossibile. Può finire come la Croazia nel 1998, che si fermò soltanto davanti alla Francia in semifinale, oppure come la Serbia, presa a pallonate da tutti nel 2006.

La Bosnia scenderà in campo con il classico 4-2-3-1 molto di moda negli ultimi anni in Europa: qualità a centrocampo e ripartenze da Flash Gordon. Tutto è nelle mani di due volti piuttosto noti in Italia, il romanista Pjanic e il laziale Lulic: se girano loro due, nessuno può ritenersi davvero al sicuro. Davanti, poi, c’è un centravanti mica da poco, Edin Dzeko, fresco campione d’Inghilterra con il Manchester City. Mister Safet Susic ha costruito intorno a questi tre tenori una squadra molto solida, con un interdittore di livello come Haris Medunjanin piazzato davanti alla difesa per spezzare il gioco avversario. Non che i problemi manchino a questa Bosnia: la fascia destra sarà un inferno, stasera: il terzino Mujzda (dato in vantaggio su Vrasejevic per una maglia da titolare) dovrà vedersela a turno con Lavezzi e Messi, mentre dall’altra parte bisognerà stare attenti a Di Maria, che giocherà da mezzala in un centrocampo a tre di qualità ma un po’ lento (gli altri due sono Gago e Mascherano).

L’Albiceleste, dal canto suo, può contare su quello che, forse, è l’attacco più forte del torneo, ma dietro non sembra irresistibile. Biglia (pure lui della Lazio), a questo proposito, ha rilasciato dichiarazioni per nulla incoraggianti: «In difesa avremo qualche problema, ma basterà passare la palla a Messi». La Pulce, però, viene da una stagione meno brillante del solito (per i suoi standard: 41 gol in 46 presenze, scusate se è poco) e negli ultimi tempi ha cominciato a vomitare in campo con una frequenza allarmante: dicono sia una conseguenza dello stress dovuto un po’ all’annata complicata del Barcellona e un po’ alle indagini fiscali che lo vedono protagonista.

Mettiamoci anche che Sabella non ha alcuna intenzione di farlo giocare punta centrale (c’è Aguero), ruolo che Messi che predilige e che con i Blaugrana ha conquistato costringendo la dirigenza a dare via, nell’ordine, gente come Ronaldinho, Eto’o, Ibrahimovic e David Villa. Sarà un azzardo mandarlo in campo così? Il calcio ha molto in comune con l’alchimia, e se il piombo può diventare oro, non  è da escludere che possa accadere anche il contrario.

Si parte così, con gli argentini che sognano di andare a vincere la coppa in casa degli odiati brasiliani e la Bosnia che si candida al ruolo di ’dark horse’ del torneo: la squadra che all’inizio nessuno si fila e che alla fine stupisce tutti. Ma la ex Yugoslavia è terra di incompiuti nel calcio: o belli e incredibilmente sfortunati o brutti e fortunati oltre ogni limite. La storia non ha offerto vie di mezzo, fino ad ora.