«Vedremo se nascerà un rapporto duraturo tra noi e i nostri partner di governo. Come si può giustificare che governiamo insieme il Paese e non siamo capaci di farlo assieme a livello locale?». È Dario Franceschini, capodelegazione dem al governo e colonna della segreteria Zingaretti, a lanciare il primo messaggio politico della tre-giorni bolognese del Pd. E il primo messaggio è “avanti con le alleanze con i 5 stelle”. Nonostante tutto: nonostante a Roma la maggioranza di governo ormai appaia un colabrodo e il governo sembri restare in piedi per assenza di alternative più che per un ormai disperso accordo di programma. Messaggio cruciale dunque quello di Franceschini anche e soprattutto a Bologna, in vista delle elezioni regionali in cui i 5 Stelle fortunatamente per il Pd non presenteranno un loro candidato.

La seconda giornata della kermesse «Tutta un’altra storia» si concluderà oggi con il candidato Stefano Bonaccini. Il ministro della cultura ha fatto un pensiero lungo sui grillini, per le prossime regionali emiliane ma anche per le future elezioni politiche: «La missione è allargare il campo democratico, bisogna aiutare e lavorare per un’evoluzione del Movimento 5 Stelle».

L’iniziativa dem parte sotto i migliori auspici grazie all’insperato e involontario lancio fornito dal flashmob oceanico delle «sardine», giovedì a Piazza Grande, che ha rovinato la festa a Salvini e alla sua candidata Lucia Borgonzoni che nel frattempo erano al Paladozza, meno numerosi. L’iniziativa dem si colloca idealmente come prosecuzione di quella piazza. «Questo non è un appuntamento del Pd, è promosso dal Pd ma offerto a tutti, saranno qui con noi anche quelli che ci criticano», ha detto ieri Zingaretti in un breve saluto iniziale, dedicando le tre giornate alla professoressa siciliana Dell’Aria sospesa per non aver punito i suoi studenti che, in una ricerca, accostavano i decreti Salvini alle leggi razziali.

Palazzo Re Enzo si riempie di 2mila persone, e gli organizzatori devono aprire le sale laterali. Fra gli altri, sale sul palco Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr, Lella Palladino della rete Dire contro la violenza sulle donne, la curda Hazal Koyuncuer, un ex operaio Ilva e una lavoratrice in mobilità di Auchan. Zingaretti si accomoda nelle prime file in mezzo ai ragazzi e alle ragazze, ministri e dirigenti si siedono fra i militanti. Del segretario si aspetta il discorso finale, quello della «rifondazione» del Pd.

Una «rifondazione» – fin qui solo annunciata – che passa per il nuovo statuto, che sarà approvato domenica pomeriggio nonostante la contrarietà della minoranza turca. Eppure le modifiche, frutto dell’accordo con gli ex renziani, non sono tali da provocare una rivoluzione nel Pd. A stretto giro sarà nominata una segreteria unitaria con gli ex renziani. Il Pd si prepara al nuovo corso, anche per respingere gli affondi di Renzi, che ormai ha esplicitato il tentativo di assorbirne il consenso. Trasformando la maggioranza in un terreno di caccia.

Ieri il leader di Italia viva ha lanciato da Torino il suo piano «shock» per far ripartire l’economia: insiste con la storia dei 120 miliardi di opere pubbliche. Per il Pd questi soldi non esistono: la ministra De Micheli, spiegano da Bologna, è al lavoro «per sbloccare 50 miliardi di opere già stanziate dal ministero delle infrastrutture in 15 anni, e tre miliardi e mezzo nel biennio 2019/2020». Il dibattito sulla finanziaria è già da subito un terreno minato, tanto più che nel frattempo il governo non riesce a uscire dal vicolo cieco del dossier ex Ilva. Il rischio di un inciampo che porti alla crisi subito dopo le regionali del 26 gennaio è una possibilità solo teorica – senza nuova legge elettorale piuttosto improbabile – a patto che dall’Emilia Romagna arrivi una buona notizia.