Belli ammutoliti. E adesso? La piazza che il 25 aprile ha fatto la storia questa volta costringe ad una riflessione piuttosto amara. Senza scomodare Sandro Pertini che agita il pugno in piazza Duomo, torniamo indietro di diciannove anni, una vita. Era il 1994. Governava Berlusconi. Allora centinaia di migliaia di persone, sotto un diluvio universale, sperimentarono l’adrenalina di ritrovarsi in piazza compatti, indignati e decisi come non mai a celebrare al meglio la festa della Liberazione. Come sempre il 25 aprile a Milano aveva qualcosa da dire e lo diceva da sinistra. Il messaggio arrivò forte e chiaro. E’ già storia.

Torniamo alla cronaca. Siamo nel 2013. Governa ancora Berlusconi. Mentre centomila persone sfilano da Porta Venezia a piazza Duomo, il nipote di Gianni Letta, costretto dal Quirinale, sta trafficando con il centrodestra per formare un governo con il Pdl… di Berlusconi. Il caso vuole proprio nel giorno in cui l’Italia festeggia la Liberazione dal nazifascismo, con tutti i partiti della (più o meno) sinistra che sventolano le loro bandiere, come è ovvio, perché è questa la piazza giusta per ritrovarsi insieme attorno a un’idea, per ricostruire un senso di appartenenza che non guarda solo al passato ma dà un senso al presente. Un vero disastro.

Come ha detto ieri Sandra Bonsanti di Libertà e Giustizia sulle pagine di questo giornale – non l’esagitato Beppe Grillo che tutti fanno finta di sbagliare a interpretare – «un teatrino osceno che ha tradito il 25 aprile». Oppure come dice Paolo Ferrero (Prc), in piazza a Milano, «la festa della Liberazione oggi viene violentata da un inciucio che sostituisce la sovranità popolare con quella dei mercati». Deve succedere qualcos’altro per scuotere il 25 aprile? Eppure tutto tace. Ma che storia è questa?

Certo, la manifestazione è bellissima, commovente come sempre. Sono tantissimi, anche troppi. In Duomo sono già terminati i comizi di rito – un tantino troppo rituali – e la piazza già stracolma deve ancora accogliere il grosso del corteo. Ci sono tutti quelli che devono esserci. Ognuno può ritagliarsi il suo pezzo preferito per sentirsi al caldo e sorridere. Sfila l’idea di una sinistra che non c’è più. Frammentata ma compatta, almeno una volta all’anno marcia sullo stesso percorso, per poi dividersi non appena si ripiegano le bandiere. Accogliente anche per lo spezzone del Pd, sguardi persi nel vuoto e bandiere pallide, e solo qualche timida contestazione al grido di «Rodotà-Rodotà». Scampato pericolo, con qualche siparietto piuttosto imbarazzante che ben racconta il senso di straniamento che lascia i più letteralmente senza parole. Come i Giovani Democratici, belli allegrotti, che ballano sul carro dove giganteggia un giaguaro tutt’altro che smacchiato. Simpatici: ma chi glielo spiega che oggi non c’è niente da ridere? Nessuno.

Anche Sel ci ha dato dentro con le bandiere, Nichi Vendola passeggia (un po’) applaudito. E’ venuto anche per cercare di smarcarsi dai suoi ex compagni di avventura, gli stessi che in queste ore stanno mettendo la testa nelle fauci del giaguaro. La piazza, questa volta, sembra voler dimenticare in fretta. «Non vi deluderemo», dice il capo di Sel parlando al futuro. Anche il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, è piuttosto prudente, come se camminasse sulle uova. Si felicita con Vendola che ha scelto «una opposizione costruttiva», poi si lascia andare ad una considerazione quirinalizia sul governo, «basta con le divisioni, è giusto che ognuno svolga il suo compito nel proprio ruolo ma nel segno della buona politica e quindi dell’interesse del paese». Ecumenico più che partigiano.

In tutto il corteo non si pronuncia uno slogan, non compare neanche un cartello, neppure una maglietta sdrucita contro Berlusconi, mai come questa volta il [CORSIVO]presente [TONDO]è scomparso dalla scena, come se nessuno avesse il coraggio di guardare in faccia la realtà. Meglio non parlarne e accontentarsi di una festa? Può darsi. Ma forse non è un buon segno in una piazza che non si è mai limitata a commemorare la storia. «Ora e sempre Resistenza» va bene, ma a questo punto, ora, chi resiste contro chi? Tema troppo caldo, incandescente, eppure, paradossalmente, questo 25 aprile milanese è stato il meno politico della storia recente. E c’è chi ha tirato un sospiro di sollievo, «oggi no,domani parliamo del governo».

La presidente della Camera, una prima assoluta, ha pronunciato un discorso molto antifascista (ce ne sono anche oggi) e molto antirazzista (è la sua storia, ed è un vero piacere che sia entrata nelle istituzioni). Laura Boldrini ha anche criticato il de profundis intonato da Grillo – «chi dice che il 25 aprile è morto venga a Milano a vedere gli italiani liberi» – irritando i politici del M5S («non ha capito il senso delle sue parole»). E, infine, nel passaggio più applaudito da una piazza piuttosto distratta, Boldrini ha anche chiesto «l’abrogazione definitiva del segreto di stato per i reati di strage». Se sarà, sarà compito del governo Pd-Pdl.