Dai laboratori alle piazze. Nella comunità scientifica americana cresce la mobilitazione contro Trump. I camici bianchi reagiscono alla retorica anti-scientifica del presidente che in campagna elettorale liquidò il riscaldamento globale come «una bufala» creata dalla Cina. Reagiscono ai tagli di budget e alle nomine nei posti chiave della politica ambientale. La protesta è nata negli spazi virtuali di Reddit e Facebook. Il 5 febbraio, a Copley Square, piazza di Boston dove sono confluiti centinaia di scienziati. Il prossimo appuntamento è a Washington il 22 aprile, stessa data dell’ormai tradizionale Earth Day, per la March for Science (Marcia per la scienza).
Tra gli attivisti troviamo tantissime donne. Naomi Oreskes, storica della scienza di Harvard, è una delle voci più autorevoli della protesta. Maryam Zaringhalam, biologa molecolare di origini iraniane, è tra le promotrici del nuovo progetto 500 Women Scientists. Nato dopo le elezioni, il gruppo lavora per aprire la comunità scientifica a donne e minoranze. In prima linea c’è anche Gretchen Goldman, direttrice della ricerca presso il Centro per la scienza e la democrazia della Union of Concerned Scientists. È lei a raccontarci «l’inizio di un nuovo movimento di scienziati».

Lei si occupa del rapporto tra scienza e politica istituzionale. Che cosa cambia con il governo Trump?
Già in campagna elettorale Trump aveva adottato una retorica anti-scientifica. Anche dopo l’insediamento, il presidente ha fatto capire di avere poco rispetto per la scienza. Diverse direttive del governo minacciano l’integrità scientifica. Gli scienziati sono ansiosi, turbati, temono cambiamenti profondi nel modo in cui la scienza viene usata – o ignorata – nelle decisioni politiche. Da qui la mobilitazione: non ho mai visto la comunità scientifica americana così piena di energia e interesse per la politica.

È una sfida per una certa cultura scientifica che tende a separare la ricerca dalle sue ricadute sociali…
È vero, diversi scienziati non si trovano a proprio agio nelle piazze. Preferirebbero stare nei laboratori, dedicarsi solo alla ricerca. Molti credono nel potere dei fatti, nell’idea che sia sufficiente produrre dati corretti per indirizzare le decisioni politiche. Sappiamo invece che non è così.

Ha parlato anche di minacce all’integrità scientifica. Che cosa voleva dire?
Mi riferisco alla libertà della scienza di avere un ruolo nelle decisioni politiche, senza interferenze da parte dell’industria o gruppi d’interesse. L’integrità scientifica ha a che fare con la libertà degli scienziati di comunicare con i media e il pubblico. Riguarda la circolazione di informazioni scientifiche al riparo da ingerenze politiche. Sotto il governo Obama, ventiquattro agenzie governative avevano adottato protocolli per il rispetto dell’integrità scientifica, evitando le interferenze politiche che proliferarono ai tempi di Bush. Sono misure di protezione importanti, ma dalla nuova amministrazione vengono segnali preoccupanti. Alcuni esempi? Appena insediato, Trump ha vietato ai dipendenti dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente (Epa) di parlare con i giornalisti. Documenti che fino a ieri erano pubblici sono stati rimossi dal sito web della Casa Bianca, le informazioni sul cambiamento climatico sono sparite. Il Dipartimento dell’agricoltura ha rimosso dati sul maltrattamento degli animali nella ricerca e nell’intrattenimento.

Scienziati ed esperti di tecnologie hanno risposto con progetti come DataRefuge.org. Di che cosa si tratta?
Ci sono buoni motivi per ritenere che i dati scientifici federali siano vulnerabili. Il progetto DataRefuge è una delle iniziative messe in piedi da scienziati e archivisti per individuare, scaricare e mettere al sicuro dati che a breve potrebbero non essere disponibili in rete. Progetti come questo sono importanti anche come strumento di mobilitazione della comunità scientifica.

Qual è il ruolo della sua organizzazione, la Union of Concerned Scientists, nella mobilitazione?
La Ucs è nata nel 1969 al Mit di Boston da un gruppo di studenti e professori preoccupati della crescente militarizzazione della ricerca scientifica. Oggi lavoriamo su vari temi: il cambiamento climatico, l’agricoltura sostenibile, il rapporto tra scienza e democrazia. Organizziamo corsi e sessioni in rete in cui gli scienziati imparano a comunicare con il pubblico, i giornalisti e le istituzioni.
Siamo in contatto con gli scienziati delle agenzie federali che forniscono informazioni preziose sulla gestione politica della ricerca. Con altre organizzazioni, abbiamo promosso la manifestazione di Boston e la Marcia per la scienza in programma il 22 aprile. Siamo anche attivi nell’organizzazione della People’s Climate March (la Marcia per il clima) del 29 aprile. Questi eventi segnano l’inizio di un nuovo movimento di scienziati.

L’amministrazione Trump ha annunciato pesanti tagli nel budget dell’Epa e scelto Scott Pruitt per guidarla. Che fine farà l’Agenzia?
Come è noto, Pruitt ha fatto causa all’Epa quando era procuratore generale dell’Oklahoma. Molti procedimenti legali ancora aperti indicano che Pruitt non ha alcuna fiducia nella missione dell’Epa, creata per proteggere la salute pubblica e l’ambiente. I tagli annunciati avranno un impatto enorme sulla capacità operativa dell’Agenzia che dovrebbe bonificare siti inquinati e salvaguardare la qualità dell’aria e dell’acqua. A soffrirne saranno soprattutto comunità marginalizzate, che vivono accanto a impianti chimici o altre zone inquinate. Ne soffrirà la gente di Flint, Michigan, che ancora non ha acqua potabile e attende l’intervento dell’Agenzia.

Trump ha promesso di affondare l’accordo di Parigi sul clima. Tuttavia, sappiamo che servirebbero anni per il ritiro formale degli Stati Uniti dall’accordo…
È vero, sarebbe un processo lungo. In più, l’orientamento di Trump va controcorrente rispetto al livello locale. Diversi stati americani, ad esempio la California, e molte grandi città accettano la realtà del cambiamento climatico e sono al lavoro per mitigare l’impatto dell’innalzamento dei mari e di eventi climatici estremi. Anche molte imprese private si muovono in questa direzione. Che a Trump piaccia o no, in questi casi il treno della riduzione delle emissioni è partito e lui non può fermarlo.

Diverse poltrone del governo americano sono ancora vuote. Quali sono le più importanti per la comunità scientifica?
Guardiamo con interesse a chi lavorerà con Rick Perry al Dipartimento dell’Energia. Perry ha dimostrato di non avere solide competenze in ambito di politiche energetiche e in passato si è schierato con l’industria del petrolio e del gas. I componenti della sua squadra avranno un ruolo importante nelle scelte energetiche del paese. Inoltre, Trump deve ancora nominare un consigliere scientifico. Questa figura, e il suo staff, aggiorna il presidente sugli sviluppi di rilievo nella ricerca, gli comunica l’orientamento generale della comunità scientifica. Inoltre, dovrebbe anche tutelare l’integrità scientifica a livello federale. Che dire? Spero che Trump scelga qualcuno in grado di agire per il meglio.