Siamo di fronte alla più vasta epidemia nella storia degli allevamenti. La peste suina africana, una forma più aggressiva della peste suina classica, sta colpendo gli allevamenti di maiali di tre continenti, Africa, Asia e Europa. Gli studiosi sono concordi nel ritenerla la peggiore epidemia che abbia mai interessato il mondo animale. Il presidente dell’Oms per la salute animale, Mark Schipp, sostiene che «la peste suina potrebbe colpire un quarto di tutti i maiali presenti sul pianeta perché si tratta della più grave minaccia tra quelle che hanno visto coinvolto qualsiasi tipo di bestiame allevato dall’uomo».

NON SI SA COME FERMARE questa malattia, provocata da un virus della famiglia Asfaviridae, genere Asfivirus, che provoca una febbre emorragica in suini e cinghiali, con una mortalità del 90%. Gli animali infettati muoiono nel giro di 10-12 giorni. La malattia non è contagiosa per gli esseri umani e non si trasmette alle altre specie animali. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità sono almeno 2,5 milioni gli animali morti perché colpiti direttamente dal virus. Non esistono cure e vaccini e l’unica soluzione finora adottata è quella di abbattere tutti i capi presenti nelle aree di infezione. Quando si individua un focolaio in un allevamento, la sorte di tutti gli animali è segnata. Molti allevatori tendono a non segnalare i casi di infezione, anche se c’è l’obbligo di notifica alle autorità sanitarie, nella speranza di controllare il virus ed evitare la mattanza degli animali. Il contagio può avvenire direttamente tra animali, ma anche attraverso urine e feci, mangimi contaminati, attrezzature, scarpe e indumenti del personale.

ANCHE LE ZECCHE POSSONO DIFFONDERE il virus, che ha una struttura complessa, una elevata resistenza e presenta una ventina di varianti. La Cina, che è il principale produttore, importatore e consumatore mondiale di carne suina, è diventata l’epicentro dell’epidemia. Nel paese asiatico si allevano ogni anno 500 milioni di suini e per fermare i focolai di infezione ne sono stati finora abbattuti 100 milioni di capi. In Cina il 2019 si festeggia l’anno del maiale e l’epidemia viene considerata una tragedia nazionale perché sta sconvolgendo le produzioni animali e le abitudini alimentari. I festeggiamenti di ottobre per i 70 anni della Repubblica popolare cinese sono stati segnati da un clima di preoccupazione perché, nonostante gli abbattimenti, non si riesce a fermare la malattia.

IL PRIMO FOCOLAIO DI INFEZIONE era stato registrato nell’agosto 2018 a Shenyang, nel nord est del paese, per diffondersi poi con grande rapidità nelle altre aree. Il virus si è diffuso velocemente favorito dalla particolare struttura produttiva cinese. Sono almeno 20 milioni le strutture, grandi e piccole, in cui si allevano maiali, con una miriade di piccoli produttori che vendono direttamente gli animali vivi e le carni macellate. Un mercato molto attivo, con trasferimento degli animali e delle carni da una zona all’altra del paese, che ha determinato una propagazione della malattia in tempi rapidi. Le misure di contenimento finora adottate dalle autorità sanitarie non hanno prodotto i risultati sperati. La disponibilità di carne scarseggia e il suo prezzo è raddoppiato rispetto a un anno fa. Il governo cinese è intervenuto per cercare di tenere sotto controllo i prezzi, attingendo alle riserve di carne suina congelata, immettendone sul mercato migliaia di tonnellate.

IL CROLLO DELLA PRODUZIONE NON CONSENTE di soddisfare la domanda di carne suina e rende più che mai necessario rivolgersi al mercato estero. Ogni cinese consuma, in media, 55 kg di carne di maiale all’anno, che rappresenta quasi il 70% dei consumi animali. In molte regioni le autorità cinesi hanno invitato la popolazione a prendere in considerazione la carne di pollo, ma non è facile modificare abitudini alimentari consolidate. Intanto i macelli del Brasile, tra i principali produttori mondiali di carne di maiale, lavorano a pieno ritmo per fronteggiare le richieste cinesi. Anche l’export europeo verso il paese asiatico è aumentato del 50%. Germania e Spagna, che allevano ogni anno più di 50 milioni di suini ciascuno, fanno fatica a stare dietro alla domanda cinese. L’Italia, che pure è il maggiore importatore europeo di carne suina per la preparazione dei prosciutti nazionali, sta esportando verso il paese asiatico ad un livello record. Ma si tratta degli scarti delle lavorazioni dei salumifici italiani (teste, piedi, orecchie, interiora) che in Cina hanno un notevole mercato.

Un flusso senza precedenti di carni suine si muove verso la Cina, che dall’inizio dell’anno ha triplicato la quantità importata e che, tuttavia, non è sufficiente a compensare gli abbattimenti di questi mesi. Nessuno è in grado di sapere se in Cina l’epidemia ha toccato il punto più alto e quale potrà essere la sua evoluzione. Dal marzo di quest’anno i focolai del virus si sono propagati nel Vietnam, dove è stato già abbattuto un milione di maiali. Anche negli altri paesi del sud-est asiatico, in particolare Cambogia e Filippine, la situazione è drammatica, perché quella del maiale è una delle industrie principali.

MOLTE AREE AGRICOLE SONO STATE POSTE in quarantena, dopo aver abbattuto migliaia di animali, per cercare di fermare l’epidemia. Decine di villaggi nell’area di Manila stanno vivendo una situazione di emergenza, con misure di contenimento che incidono sull’attività produttiva e sulla organizzazione sociale. Ma anche Mongolia, Laos, Corea del Sud, Corea del Nord, sono interessati dal virus, con centinaia di focolai attivi.

In Europa l’epidemia ha assunto dimensioni drammatiche nei paesi dell’est, in particolare Romania e Bulgaria, con centinaia di migliaia di maiali abbattuti.

SECONDO I DATI DELL’AUTORITA’ EUROPEA per la sicurezza alimentare (EFSA), in Romania sarebbero già 1200 i focolai di infezione accertati e l’area più colpita è quella sud-orientale e del delta del Danubio. La Romania prima dell’epidemia allevava più di 4 milioni di suini, rifornendo Russia e paesi europei. Ed è proprio in Romania, dove l’epidemia era stata segnalata nel 2017, che si è registrato il più grave episodio. Il maggiore allevamento di maiali del paese, il secondo d’Europa, situato nell’area di Braila, è stato attaccato dal virus perché l’acqua prelevata dal Danubio era contaminata per la presenza di animali malati che alcuni allevatori avevano gettato nel fiume. Tutti i 140 mila suini presenti nell’allevamento e nelle zone adiacenti sono stati abbattuti nel giro di pochi giorni, con centinaia di fosse comuni nelle campagne circostanti per sotterrare i corpi.

LA BULGARIA E’ L’ALTRO PAESE maggiormente colpito e sono stati già uccisi 160 mila dei 600 mila maiali allevati. L’epidemia oramai è diffusa in tutti i paesi dell’est Europa, con decine di focolai segnalati in Ungheria, Moldava, Polonia, Repubblica Ceca, Ucraina, Paesi Baltici. L’Unione Europea ha stanziato dei fondi per attuare azioni di contenimento della peste suina, che prevedono analisi sierologiche sugli animali e disinfezione degli ambienti. Ma il problema che non viene affrontato è l’elevata concentrazione di maiali negli allevamenti e le condizioni in cui sono tenuti. Tra tutti i tipi di allevamento quello dei suini presenta le maggiori criticità.
L’Europa occidentale è rimasta finora indenne dal virus, ma vive una condizione di grave allarme. Il divieto di importazione di carni suine dai paesi colpiti, le normative varate per gli allevamenti, il controllo sulle popolazioni di cinghiali, mirano a scongiurare che il virus possa insediarsi in Germania, il principale produttore di carne suina. Al confine con la Polonia, uno dei paesi colpiti, la cintura sanitaria, predisposta dalle autorità tedesche, è riuscita a proteggere i mega-allevamenti situati nella parte orientale.

I SERVIZI SANITARI ITALIANI E IL CORPO forestale hanno accentuato i controlli nei boschi al confine con Slovenia e Austria per individuare la presenza di cinghiali infettati che potrebbero rappresentare un veicolo di infezione per i suini. Si sta lavorando per ottenere un vaccino che mostri efficacia su tutti i ceppi virali. Il rischio è che l’epidemia, anche se verrà contenuta, rimanga endemica per decenni, ripresentandosi con virulenza a intervalli di tempo nelle varie aree del pianeta.