«L’immagine di Capitol Hill questa sera è probabilmente la più fantastica che la nostra generazione potrà ricordare». Sul gruppo Proud Boys Uncensored di telegram sono queste le parole che accompagnano la foto scattata poco prima che la Guardia nazionale renda operativo il coprifuoco deciso per la notte di Washington, facendo sloggiare anche gli ultimi recalcitranti manifestanti dall’edificio del Congresso statunitense: la cupola bianca e il colonnato d’ingresso illuminati dalle torce, avvolte dai fumogeni mentre sventolano le bandiere del popolo di Trump e i partecipanti all’assalto alzano le braccia per inneggiare a quella che considerano una giornata storica.

All’indomani di un evento destinato a segnare la storia della democrazia americana, ci si torna ad interrogare su quale fetta del Paese sia rappresentata dalle migliaia di persone che hanno risposto all’appello di Trump per una «marcia su Washington» per contestare l’esito delle presidenziali di novembre che si è conclusa con l’irruzione violenta nell’edificio dove si stava per celebrare il rito di passaggio alla nuova amministrazione. Rispondere a questo interrogativo significa analizzare almeno la parte visibile di ciò che «il trumpismo» rappresenta nel corpo vivo dell’America.

INSIEME a tanti «americani medi» – «Appartengo ai Bikers for Trump del South Carolina», urlava nel microfono dell’inviato di Fox News un barbuto bianco di mezza età poco prima che i manifestanti facessero irruzione nel Campidoglio, «la Costituzione dice “We the people” e noi siamo venuti a riprenderci ciò che ci appartiene» -, l’immagine della folla di Washington restituisce la geografia di gruppi e movimenti radicali che continuano ad accompagnare la declinante stagione di Trump. Ci sono i Proud Boys, «estremisti dei valori occidentali» come si autodefiniscono, un circuito che guarda all’estrema destra britannica delle ultime stagioni, come l’English Defence League, più che al suprematismo bianco tradizionale, ma che da tempo contende con violenza le strade del Paese ai militanti di Black Lives Matters.

NEL DRAMMATICO show allestito intorno alla sede di una delle massime istituzioni americane, l’altra è la Casa Bianca che da qui dista meno di due chilometri lungo la Pennsylvania Avenue, tra costumi da Batman o da Berserker, i guerrieri-orso della mitologia scandinava, le armi non sono visibili anche se i gruppi che fanno della difesa del Secondo emendamento, quello che sancisce il diritto a portarle liberamente, sono ampiamente rappresentati. Dai Three Percenters ai rappresentanti di diverse «milizie» paramilitari che negli scorsi mesi, dall’Oregon al Kentucky passando per il Michigan – dove l’Fbi ha recentemente sventato un piano per rapire la governatrice democratica Whitmer – si sono fatti notare per aver sostenuto, fucili d’assalto in pugno, i comizi di Trump, fino alla galassia dei cosiddetti Boogaloo Boys, anch’essi d’abitudine armati, presenti in tutte le più recenti manifestazioni anti-lockdown.

Con loro i seguaci delle teorie complottiste di QAnon, ultimi ma potenti arrivati nella famiglia dell’avanguardia del trumpismo. A questo circuito apparteneva anche Ashli Babbit, una veterana dell’aeronautica militare titolare di un’attività commerciale a San Diego che partecipava al corteo delle Women For America First, tra i molti a raggiungere Capitol Hill, uccisa dai colpi esplosi da un agente durante l’assalto.

NON UNA REPLICA della marcia che il Ku Klux Klan svolse il 9 agosto del 1925 portando migliaia di incappucciati per le strade della capitale federale, ma la rappresentazione di come una parte del mondo della destra, e probabilmente del ceto medio americano, sia scivolato negli ultimi anni verso posizioni sempre più radicali. Del resto, come scriveva ieri sempre su telegram James Woods, una delle rare star di Hollywood di stretta osservanza trumpiana, «il partito democratico ha messo le mani sul Paese manipolando il voto, il partito repubblicano è morto e a noi non resta che ringraziare Dio che esista il Secondo emendamento».