Il National Film Archive of Japan di Tokyo da settembre e fino alla fine di questo 2020 allestirà una mostra speciale per celebrare il settantesimo anniversario di Rashomon, uno dei lungometraggi giapponesi più conosciuti, vera e propria pietra miliare nella storia della settima arte. Il film, prodotto dalla Daiei, diretto da Akira Kurosawa, ed interpretato da Toshiro Mifune e Machiko Kyo, esce nelle sale dell’arcipelago il 25 agosto del 1950, ma fatto più importante, l’anno seguente viene presentato al Festival del Cinema di Venezia dove vince il Leone d’Oro come miglior film. Secondo quanto preannunciato dal museo, la mostra dovrebbe raccogliere fotografie, annotazioni, schizzi, poster giapponesi ed internazionali e tanto altro materiale per raccontare tutto quello che il film rappresenta e ha rappresentato per l’evoluzione della settima arte, in Giappone e all’estero. Rashomon, il film diretto da Akira Kurosawa e Rashomon il film che apre ufficialmente i cancelli del cinema giapponese all’estero, quello d’autore in particolare nel circuito festivaliero europeo, sono infatti due realtà, che, come nella storia del film, si sovrappongono ma che non sono uguali.

CON VENEZIA 2020 alle porte è questa una perfetta occasione per andare a rivedere e brevemente analizzare le ragioni del successo europeo ed americano, vinse l’Oscar come miglior film straniero nel 1952, dell’opera diretta da Kurosawa. Gli anni cinquanta sono il periodo in cui, dopo la catastrofe della guerra e l’occupazione americana, il Giappone comincia a rialzarsi dalle macerie ed affacciarsi al resto del mondo come paese moderno. Uno dei modi più efficaci di far questo è il cinema, ecco allora che gli anni cinquanta diventano il decennio in cui l’Occidente viene a contatto con la produzione cinematografica del Sol Levante. Se Rashomon è il lungometraggio apripista, al film con Mifune seguono i lavori diretti da Kenji Mizoguchi, come La vita di O-Haru, I racconti della luna pallida d’agosto e L’intendente Sansho che, sempre a Venezia, fra il 1952 ed il 1954 conquistano importanti riconoscimenti. Nel 1954 inoltre, sempre a Venezia, viene presentato I sette Samurai di Kurosawa, mentre a Cannes viene proiettato La porta dell’inferno di Teinosuke Kinugasa.
Le ragioni di questa «invasione» sono multiple, la qualità di questi film provenienti da un paese poco conosciuto, specialmente cinematograficamente, è senza dubbio una di queste, ma un ruolo importantissimo fu giocato anche dal fatto che questi film andarono a soddisfare un desiderio orientalista dei critici e del popolo cinefilo più in generale.

TUTTI I LUNGOMETRAGGI summenzionati infatti, sono ambientati in un Giappone pre-bellico popolato di samurai e donne vestite col kimono, e non è un caso che i film diretti nello stesso periodo da Yasujiro Ozu o Keisuke Kinoshita ad esempio, lavori ambientati nel Giappone contemporaneo e che esploravano tematiche popolari, furono scoperti ed apprezzati in Occidente solo molti anni dopo. Buona parte del successo avuto fuori dai confini giapponesi dei film post Rashomon negli anni cinquanta si deve anche alla bravura da venditore di Masaichi Nagata, produttore alla Daiei, che dopo l’incredibile ricezione veneziana del film di Kurosawa, decise di realizzare lungometraggi tenendo conto anche del mercato estero e di quello che gli spettatori e critici europei ed americani si aspettavano dal «lontano» estremo oriente. Aspettative orientaliste, fiuto commerciale, voce autoriale e sublime qualità cinematografica si fusero quindi in una congiuntura perfetta che diede luogo ad uno dei periodi più floridi per il cinema mondiale.

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