Ci provano in tutti i modi, i candidati a sindaco di Roma, a costruire trame che possano comprendere una città implosa su sé stessa e divenuta un coacervo di mondi e di paesaggi. Ma il fatto che queste narrazioni fatte di programmi e slogan elettorali spesso risultino sfilacciate, parziali, piene di buchi e salti logici rivela la difficoltà di fare i conti con la città narrata da Pasolini e Fellini.

INSOMMA, non dev’essere un caso se un saggista e storico come Piero Bevilacqua in Ulisse in giro per Roma (Castelvecchi, pp. 160, euro 17,50), anche lui non romano come i due autori citati sopra, ha deciso di raccontare la capitale, e di indagarne alcuni tratti contemporanei scegliendo la forma della narrativa. E adottando il punto di vista disincantato eppure cosciente di un flaneur sottoproletario.
Ulisse, al secolo Arturo, è un manovale in pensione che vive a Tor Bella Monaca e che ha radici siciliane. Come un Marcovaldo di borgata vaga per Roma, passando in rassegna alcuni dei quartieri della capitale: dai lotti di Garbatella alla sconquassata movida del Pigneto, dal Nomentano fino al centro storico.

Si aggira sperimentando diverse forme di disorientamento: l’essere contemporaneamente coi piedi per terra e lo scoprirsi a volte senza radici o punti di riferimento. Incontra lo spaesamento del linguaggio meticcio col quale è scritto questo libro, un romanesco ibrido ed evidentemente contaminato dalle migrazioni del sud Italia e dall’italiano corrente. Attraversa lo spaesamento di una città che forse non è propriamente una metropoli ma che è comunque è fatta di tanti paesi. In ognuno dei quali, che ci si trovi in un supposto «centro» in relazione a non si sa bene quale «periferia» di fronte alla mappa impazzita della Roma contemporanea, incontra una piccola storia, conosce un personaggio, annota un carattere. In questo modo insieme ad Ulisse ci rendiamo conto che questo spaesamento è necessario, è il sentimento al quale si deve predisporre chi è in cerca del senso del luogo in cui vive e ha bisogno di imparare, passo dopo passo, a decostruire gli stereotipi che costruiscono a tutti gli effetti il paesaggio urbano che ci circonda.

Si sarà capito che Ulisse non è una figura astratta né disincarnata: attraversando con il suo corpo lo spazio viaggia nel tempo con la mente. Dunque, casca nella trappola del senso comune, quella che vorrebbe Roma come un oggetto da preservare e difendere dalla minaccia della modernità.

QUESTA È LA RIFLESSIONE che fa sbarcando di fronte allo splendore ineffabile dei Mercati Traianei. Ma siccome Ulisse ha il pregio di stare per strada e di percorrerla, questa città disunita, porosa e inclassificabile, si trova anche a ribaltare i luoghi comuni e gli assetti dati, come quando ricorda al suo interlocutore che un tempo Tor Bella Monaca era luogo salubre e rifugio per aristocratici e Trastevere un pugno di strade maleodoranti. Dentro questo paradosso sta l’itinerario storico e quello che, coi situazionisti, definiremmo psicogeografico di questo libro.