Se l’incontro ingessato tra Trump e Obama alla Casa Bianca e le parole di prammatica pronunciate dal miliardario newyorkese una volta appreso della sua vittoria avevano fatto pensare che i toni violenti della campagna elettorale avrebbero lasciato il campo alla diplomazia istituzionale, il risveglio dell’America dalla batosta del voto comincia a delinearsi come uno scontro senza quartiere.

Mentre da Portland a Los Angeles le strade del paese si riempiono della rabbia di quanti temono che le promesse elettorali del candidato dei repubblicani si trasformino ora per tutto il paese in un futuro quotidiano di razzismo, repressione e povertà, anche la pace apparente degli attori istituzionali vira già verso un conflitto potenzialmente esplosivo.
Mentre lavora alla formazione del governo, dallo staff di The Donald è partito un messaggio durissimo, e irrituale, in direzione del presidente ancora in carica.

Alla vigilia del suo prossimo viaggio europeo, sarà in Grecia il 15 novembre e in Germania due giorni più tardi, con cui Barack Obama concluderà il suo mandato a Washington, Trump ci ha tenuto a far sapere al suo predecessore che «non è il caso che prenda alcuna iniziativa».

Come accade sempre in questi casi, il segnale è arrivato attraverso indiscrezioni fatte filtrare volontariamente ai media, in questo caso al prestigioso sito di Politico in cui si affermava che «sulle questioni importanti, che possono modificare il quadro esistente e su cui il presidente Obama e Trump non sono allineati, non è nello spirito della transizione tentare di far passare punti dell’agenda contrari alle posizioni del nuovo presidente». In altre parole, nessuna assunzione di impegni su Isis, Siria e Ucraina e sul tema dei migranti, oltre che sul ruolo della Nato, di cui Obama parlerà in un vertice con i premier europei durante la sua visita, che potrebbero vincolare in un modo o nell’altro la nuova leadership americana.

Contemporaneamente sono però proprio gli annunci fatti dal vincitore delle elezioni, in questo caso sul tema dell’immigrazione, che ha promesso ai suoi sostenitori che espellerà tutti gli irregolari presenti sul territorio degli Stati Uniti, oltre 11 milioni di persone, a suscitare la reazione indignata di una parte della popolazione e di molti sindaci delle grandi città a cominciare da quello di New York, Bill de Blasio.

Il primo cittadino democratico della Grande Mela ha infatti promesso che farà di tutto per non concedere alla nuova amministrazione l’accesso agli elenchi degli oltre 850 mila immigrati illegali che vivono nella metropoli. «Questa città ha sempre accolto tutti coloro che avevano bisogno e non smetterà certo di farlo ora», ha spiegato de Blasio nel corso di una conferenza stampa indetta proprio per annunciare la sua contrarietà alla linea del nuovo presidente. Proprio per cercare di tutelare in qualche modo queste figure, lo scorso anno il suo municipio ha del resto istituito una sorta di carta di identità per gli immigrati senza un regolare visto che prova la residenza e può essere utilizzata per diverse necessità amministrative.