Cultura

La pavidità non paga

La pavidità non paga

Narrativa «I Buttasangue» di Giovanni Iozzoli, pubblicato da edizioni artestampa. Quando l'abiezione prende possesso di sé: specchio dell'Italia attraverso un operaio vigliacco

Pubblicato quasi 9 anni fa

Quando l’operaio Camillo Lo Bello, 59 anni, immigrato dalla Sicilia nella Bassa modenese per campare la vita in fabbrica, viene sbalzato fuori da un «muletto» privo delle protezioni teoricamente imposte dalla legge e ci rimette la pelle, l’anonimo protagonista del romanzo di Giovanni Iozzoli I Buttasangue (edizioni artestampa, pp. 155, euro 16) è proprio a un palmo. Non solo vede perfettamente la dinamica del sinistro ma, in veste di «rappresentante per la sicurezza», aveva pure avvertito il padroncino del pericolo e suggerito invano una spesuccia, 500 euro appena, per aggiungere almeno un paio di staffe protettive. Vede, sa, ma non ha neppure un secondo d’esitazione su cosa fare: dimenticare il profetico avvertimento, giurare di essersi purtroppo trovato di spalle al momento del fattaccio. Si fa schifo da solo questo operaio fedifrago e lo confessa senza ipocrisie. Ma il disgusto non basta a fargli cambiare idea.

Non è peggiore di tantissimi altri, il pavido in questione. È come tutti. Arrivato a Modena dal foggiano, pronto a tutto pur di sfuggire alla maledizione della terra e del lavoro contadino, approdato nel nord con un bagaglio colmo di illusioni svanite una dopo l’altra nel grigiore della Bassa e della fabbrica, ha solo imparato la lezione che nell’Italia degli ultimi trent’anni viene ripetuta ogni giorno, mille volte al giorno, da molto prima che il senatore Razzi e Maurizio Crozza la promuovessero a motto nazionale: «Fatti i cazzi tuoi». Ha rinunciato a ogni solidarietà. China la testa. Evita i guai, e si sa che tutto può diventare un guaio: anche l’amore, se la ragazza in questione decide di metter su famiglia. Nemmeno in quella occasione il nostro ci ha pensato su due volte. L’ha lasciata seduta stante, senza neppure sentirne troppo la mancanza.

Solo che i guai, a volte, ti vengono a cercare. Ricompensato per il suo complice silenzio con una settimana di ferie pagate, roba forte, il poveraccio non ha altro da fare che girare in macchina senza meta nel cuore della notte, come una trottola impazzita. Gli capita di soccorrere una ragazzina. Incauto, dimentica di scartare di fronte alla possibile rogna, forse per stanchezza, o per distrazione o perché la minorenne pare messa davvero male. Invece si ripiglia, e ringrazia il soccorritore con un’imprevista fellatio, che sarebbe quanto di più gradito se proprio in quel momento non capitasse una volante e l’uomo che non voleva guai non si ritrovasse con una probabile accusa di stupro sul groppone. Come se non bastasse la seduttrice in erba è proprio la figlia dell’operaio morto, e già che ci si trova scompare dalla circolazione, rendendo così ancora più fragile la posizione processuale del presunto stupratore di minori.

Chi, in un futuro si spera non lontano, vorrà sapere cosa è stata davvero l’Italia di Berlusconi, Renzi e Marchionne non potrà affidarsi alla freddezza delle statistiche e tantomeno alle buffonate propagandistiche del potere, ma neppure alle altisonanti denunce che, pur fondatissime, non potranno mai restituire la desertificazione di ogni rapporto sociale, la trasformazione del lavoro in eterna corsa dei topi, la sottrazione progressiva e quotidiana di ogni dignità che trasforma una persona per bene, come il protagonista non si stanca di definirsi e come effettivamente è, in una figura di abiezione quasi dostojevkiana. Chi vorrà non solo capire da lontano ma sentire e annusare e soffrire la realtà in cui viviamo tutti ogni giorno, troppo avvezzi per rendercene pienamente conto, dovrà ricorrere a libri come questo.
A Giovanni Iozzoli 48 anni, delegato sindacale, con alle spalle un romanzo, I terremotati (manifestolibri), riesce la scommessa ardita di rendere la verità profonda, emotiva oltre che economica, della situazione perché possiede le due doti necessarie per farcela. Scrive magnificamente, a differenza di quasi tutti quelli che in Italia si guadagnano da vivere con la penna. E quel che racconta lo conosce davvero e da vicino, non per sentito dire.

Quel che Iozzoli conosce e racconta non è l’«Italia della crisi», come da leggenda funzionale agli interessi del potere. La Grande Recessione è stata un diluvio sul già alluvionato e qualche volta, come a Modena, i disastri naturali hanno poi peggiorato ciò che non sembrava peggiorabile. I Buttasangue finisce nel 2010, quando la crisi seguita al crollo dei subprime e al fallimento della Lehman Brothers in Italia ancora mordeva appena. Ma il quadro era già reso tragico da una crisi di ben più lunga durata, la cui potenza corrosiva era andata ben oltre la chiusura delle fabbriche e la perdita dei posti di lavoro ma aveva aggredito ogni nesso sociale e debellato gli anticorpi anche nella testa e nell’animo di molte «persone per bene». I Buttafuoco non è la storia di una crisi economica: è l’istantanea desolata e fedele di una devastazione sociale e morale.

Con un finale ambiguo, però. Per il protagonista, tanto anonimo quanto ha da essere un moderno operaio-massa, la tempesta si rivela un terno al lotto. La disoccupazione, si sa, può diventare un’occasione e quando il punto di partenza è molto in basso non ci vuole molto per scoprire un viottolo in salita: non è mica un caso se la crisi è sofferta dal ceto medio più che dai ceti sociali bassi, che pure in concreto la pagano di più. Solo che nulla, in questo libro che è insieme tragicomico e desolatissimo, è più pessimista del suo lieto fine.

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