Donatella Di Cesare ha dato una risposta ampiamente condivisibile agli interventi di Agamben e Cacciari sul Green Pass. Quel che mi pare importante è che sposta il focus sulle reali discriminazioni dell’ipermodernità.

Nella retorica dei no-Vax e dei critici del vaccino è ben rilevante l’argomento di Big Pharma. Ma comprendere la questione vaccinale come questione puramente emergenziale, e necessaria nell’emergenza pandemica, non significa affatto oscurare la questione Big Pharma. Tutt’altro: significa impostarla nei termini corretti. Big Pharma non significa “imponiamo il vaccino a tutti per il profitto” e magari “per il controllo totalitario” (povero Orwell, manipolato perfino dalla Meloni, quanto si rivolta nella tomba).

No, Big Pharma significa che i vaccini sono un privilegio del nord del mondo, di chi se lo può permettere, di chi paga. E gli altri restano esposti al virus. Col paradosso, evidentemente, che il virus non conosce confini, ed è un problema anche per i privilegiati stessi. Il Covid rivela le diseguaglianze globali, a chi le vuol vedere, a chi non resta intrappolato nel discorso della paura.

Del resto, la Grande Paura (della contaminazione, dell’Altro, del migrante, del vaccino – Paura che può farsi paranoia, e fa della paranoia in senso clinico una cifra di quest’epoca) è essa stessa una conseguenza della modernità del capitalismo globale. La società della performance ci dice che “tutto è possibile”, che tutto è a portata di mano, che dipende solo da noi.

Tutto è possibile, perché la società è fondata sull’illimitato – la crescita illimitata, lo sviluppo illimitato, l’accumulazione illimitata. Just do it. E nell’indicarci questo illimitato, ci rende impotenti, perché ci confronta continuamente con lo scacco, col fallimento. Le psicopatologie contemporanee si legano profondamente a queste coordinate – dalla depressione al bipolarismo maniaco-depressivo.

Miguel Benasayag, lo psicanalista che ha scritto quel testo meraviglioso che è L’epoca delle passioni tristi, disse, tempo fa, una cosa che ci aiuta molto a leggere il senso di questi moti irrazionali fondati sulla paura che agitano questo nostro presente pandemico: “La credenza tecnoscientifica dominante, che non esistono limiti, si accompagna proprio ad un vissuto di impotenza e di paura: di respirare l’aria inquinata, di bere, di mangiare, del terrorismo, del défault, del populismo. La paura è secondo me un tema fondamentale dal punto di vista clinico e sociale”.

Questo rifiuto iperindividualista di una soluzione comune all’emergenza sanitaria può davvero essere letto come il rovescio di quella tecnoscienza che è il nemico principale. Ma è appunto un rifiuto impotente, perché preso nello stesso movimento, perché non esce da quel frame che lo ha determinato. E’ una forma reattiva che resta subordinata a ciò che immagina di combattere. Ancora una volta: se ne può uscire solo tutti insieme.