Brady è un giovane cow boy nativo americano delle riserve nel sud Dakota. È una promessa a del rodeo, che è la sua passione, ci è cresciuto, è bravissimo e però dopo una brutta caduta il medico gli dice che non potrà mai più salire in sella se non rischiando di morire. The Rider – presentato lo scorso anno alla Quinzaine des Realisateurs di Cannes – è il secondo film di Chloé Zhao, tutto costruito sul suo «protagonista», Brady Jandreau, che la regista ha incontrato nella riserva di Pine Ridge mentre girava il suo primo lungometraggio, Songs My Brother Taught Me. Come il personaggio a cui dà vita anche lui è appassionato di cavalli, nato e cresciuto in quella riserva e in una memoria in bilico, confusa tra le leggende e un presente – e una realtà, quella americana – con n cui i ragazzi come lui faticano a trovare uno spazio e delle affinità.

COSA accade se quella che è la propria immagine, ciò che assorbe un passato entrato nel mito vengono meno, cancellati all’improvviso da una placca nel cranio che pone scelte definitive e dalla prospettiva di ritrovarsi commesso in qualche supermercato? É su questo passaggio emozionale di dolore e di sconfitta che la regista, cinese – è nata a a Pechino nel 1983 – ma da tempo vive a New York fonda la sua narrazione, quasi una ballata del nostro tempo tra paesaggi di struggente bellezza, volti, luce, musica, gesti. Un western? Si ma al tempo stesso con la consapevolezza che non c’è nemmeno più la nostalgia, quei luoghi che l’immaginario ha «inventato», cambiato, raccontato o distorto sono diventati cartoline, souvenir per i turisti, oggetti in vendita seriali in cui si riproducono ricordi che non appartengono a nessuno. Per quei ragazzi il rodeo è una sfida per essere eroi o per finire in terra e poi magari su una sedia a rotelle, un po’ come il malessere che consuma la loro comunità per la quale non c’è e mai c’è stato un «sogno americano», e la cui storia è sempre quella dell’altro.

Zhao – a differenza di un regista come Minervini – lavora sulla prossimità, vicino al suo personaggio, alla vita quotidiana nella riserva e, soprattutto, al sentimento fluido della fragilità, di un non luogo dell’essere. Immagine dopo immagine dà voce alla rabbia e alla tempesta che si scatenano nella testa di Brady, che vive nel camper col padre e la sorellina affetta da sindrome di Asperger e solo in sella ritrova un senso alla sua esistenza anche se forse quella dimensione non esiste davvero.

DIETRO alla sua figura che si staglia a cavallo balena dun que ancora una volta l’immaginario, qualcosa di più potente che è come un bene segreto di cui non ci si può far privare, lo spazio immenso di un’epopea che, per una volta, quel ragazzo cerca di reinterpretare lontano dagli stereotipi, dentro al suo desiderio.