«Potrei iniziare da qualcuno che non c’è. Il racconto di una vita immaginaria in cui racchiudere tutte le vite possibili delle quali si possa avere traccia o memoria in questa città». Inizia così Gente di Trieste (Laterza, pp. 245, euro 18) il nuovo romanzo storiografico di Pietro Spirito, giornalista de Il Piccolo e scrittore originario di Caserta, cresciuto a Trieste, città a cui ha dedicato molti scritti, tra cui questo che si rivela, però, distante dai romanzi scritti da molti finora su questa città così chiacchierata e mai del tutto capita, poiché Spirito sceglie di mettere in luce i suoi eroi dimenticati dalla storia.

Non più Trieste e i suoi capisaldi culturali come Joyce, Svevo e Saba; non più Trieste solo come luogo di incontri e conflitti, ma come identità prima di tutto. A darne forma, è la gente che l’ha attraversata e vissuta: genti sradicate, tormentate e abbandonate come la città stessa, si mescolano dentro una trama fitta tra i nomi più importanti di eroi politici, artisti, imprenditori, argonauti e sognatori.

AD ESALTARE la molteplicità dei personaggi che Pietro Spirito riporta in vita è il titolo di matrice joyciana, che suggerisce al lettore la complessità di un tessuto sociale, dove a rendere autentica la storia della città non sono solo le tensioni morali definite da un territorio continuamente invaso ed espropriato, bensì la diversità dei suoi abitanti in forme ancora incomprese, spesso inconfessabili, ma audaci che la elevano a città della modernità. Basti pensare a Vittorio Benussi, maestro di uno dei padri della psicanalisi (Cesare Musatti) e inventore della macchina della verità: morirà suicida seduto sulla sua poltrona bevendo un tè al cianuro e la sua morte verrà taciuta dai suoi allievi per oltre sessant’anni.

Eroi politici come Nazario Sauro, vengono raccontati da Spirito nella loro dimensione umana e non più soltanto storica, quasi ci fosse un’urgenza a dimostrare quanto Trieste non possa essere ritenuta una semplice città di confine, ma un parto travagliato di anime tormentate.

AD ESALTARNE quest’aspetto è il racconto di Rodolfo Maucci, insegnante di liceo costretto ad accettare l’incarico di direttore de Il Piccolo di Trieste durante l’occupazione nazista: Maucci avvierà una «personale guerra di resistenza sabotando dall’interno il giornale e affidando ad un diario segreto tutti i documenti e gli appunti di ciò che aveva fatto per resistere».

A descrivere la controversia di queste genti, è la figura dell’intellettuale anarchico Paolo Universo, poeta di successo sempre sul punto di sfondare, ma che all’ultimo si ritirava fedele al suo pensiero: «agire sì, ma fuori dalle strutture, fuori dal mercato, fuori dagli schemi prefissati. L’inerzia come antidoto alla corruzione».

UOMINI VISSUTI in epoche diverse, con culture, lingue e idee diverse, hanno legato il loro destino alla città di Trieste, nella speranza di trovare un posto che diventasse il luogo di ritorno. Perché in fondo, che cos’è che determina la storia di un territorio e dei suoi abitanti se non il suo senso di appartenenza? In questa tensione d’animo costante, si è formato un tessuto moderno definito da Pietro Spirito «dilettantismo» che vede Trieste posseditrice, per esempio, di un osservatorio astronomico svincolato da ogni accademia o ateneo, ma tenuto in vita solo da «una sinergia che metteva in campo amministrazione, imprenditoria e didattica».

L’originalità di questi personaggi è la versatilità e la passione bruciante con cui hanno, inconsapevolmente, costruito il mosaico di una città perennemente in bilico; bottegai che per passione e necessità di comprendere la propria dimensione storica, hanno dato vita ai più importanti salotti e caffè letterari; imprenditori come Primo Rovis che hanno fatto della propria fortuna economica un atto di generosità fino a rimanere senza niente. La modernità è racchiusa proprio qui, dentro la multi-potenzialità che la gente di Trieste ne ha ricavato per sanare la rottura di fondo incisa in ogni cellula della sua storia, creandone la bellezza e il fascino che ancora oggi e sempre di più, questa città trasuda nelle sue strade. E nella sua gente.