Nel suo primo giorno da reggente del Movimento 5 Stelle, Vito Crimi ha ricevuto al senato i «facilitatori tematici» che ha ereditato dalla gestione Di Maio: Barbara Floridia, Ignazio Corrao, Enrica Sabatini, Emilio Carelli, Danilo Toninelli e Paola Taverna. Con loro ha fatto il punto della situazione ma soprattutto ha cominciato a lavorare all’appuntamento sempre più cruciale per il futuro del M5S: gli Stati generali che si terranno dal 13 al 15 marzo prossimi a Torino. Molti i punti oscuri: non è stata ancora individuata la struttura che ospiterà l’evento né sono state ancora stabilite le regole che disciplineranno il dibattito. Quello che pare certo è che vi potranno partecipare tutti gli iscritti e che in quella sede, al di là del confronto di idee, sarà inevitabile discutere anche della struttura decisionale e organizzativa del M5S. «Si parlerà non del chi ma del cosa», ha tenuto a precisare due giorni fa Di Maio al momento di dimettersi, chiarendo che a Torino sarà occasione per far pesare il suo contributo ma non la sede per votare un successore al vertice con pieni poteri e completa legittimazione. Proprio dal capoluogo piemontese, nel frattempo, arrivano voci che sembrano escludere la sindaca Chiara Appendino dalla partita per la leadership, magari in ticket con Di Maio come si era detto. Il motivo è semplice: Appendino potrebbe non aver risolto alcune questioni legali connesse alla sua attività amministrativa, il che per il momento la esclude dalla competizione.

Di Maio al Teatro di Adriano aveva promesso che avrebbe continuato a fare campagna elettorale per le regionali di domenica, perché «non lasciamo da solo nessuno» e per non dare l’impressione di avere abbandonato la nave prima che affondasse. In realtà, con il M5S fuori dai giochi e in lotta solo per superare lo sbarramento, l’ex «capo politico» potrebbe avere grane più una vittoria del centrosinistra in Emilia che da una sconfitta di Salvini. Se questa accadesse, la rilevante minoranza che ha fatto campagna per il voto disgiunto e per un avvicinamento maggiore al Pd avrebbe più argomentazioni. Se invece vincesse Salvini, al contrario, Di Maio potrebbe rivendicare la sua distanza dal Pd e ribadire la necessità di un M5S autonomo dai due schieramenti. Lo dice chiaramente un suo fedelissimo come il sottosegretario agli esteri Manlio Di Stefano quando esplicita la posta in palio politica dell’appuntamento torinese: «Gli Stati generali di marzo saranno momento di confronto per capire cosa vogliamo essere nei prossimi dieci anni – spiega Di Stefano – Ho una certezza: noi siamo e dovremo essere sempre il terzo polo, quel meraviglioso corpo estraneo che ha già cambiato irrimediabilmente in meglio la storia d’Italia e che gli altri continueranno a combattere».

La partita di Di Maio e dei suoi da questo punto di vista è delicatissima, perché rischia di trovarsi contro non solo quelli che insistono, con la benedizione di Beppe Grillo, per schierare il M5S sul fronte progressista ma anche i nostalgici dell’alleanza sovranista con la Lega. Tra di essi potrebbe essere annoverato l’unico che ha solidarizzato con l’espulso Gianuigi Paragone: Alessandro Di Battista. Ma quest’ultimo è un battitore libero del quale Di Maio ha bisogno per bilanciare le spinte a sinistra. Per questo ieri dallo staff del ministro degli esteri smentivano «categoricamente» che le parole del dimissionario «capo politico» si riferissero all’ex deputato romano. «Nel discorso di ieri Di Maio non ha fatto nessun attacco a Di Battista – spiegano – Nessun passaggio dell’intervento del ministro era anche lontanamente rivolto a lui, che Di Maio considera invece un amico». Di Maio insomma gioca sul filo, ha bisogno di bilanciare l’appoggio all’attuale maggioranza («Faranno di tutto per andare al voto prima che entri in vigore il taglio dei paelamentari, ma dobbiamo arrivare alla scadenza naturale della legislatura», ha ribadito ieri a Bologna) con le rivendicazioni di autonomia a prese di distanza dal Pd.

Intanto, lo scossone delle dimissioni di Di Maio non ferma il lavoro dei probiviri sulle mancate restituzioni. Sarebbero in arrivo nuove sanzioni di diverso tipo, commisurate alla quantità dei versamenti che mancano all’appello. Ciò, è quanto trapela dal M5S, non impedirebbe che almeno cinque parlamentari rischino l’espulsione.