La politica nel pallone. Non tanto per il caos delle liste elettorali, quanto per il deciso e decisivo intervento nelle cose del calcio italiano. Andiamo con ordine. Il giorno dopo la fumata nera nel conclave federale è tutto uno smarcarsi, abbozzare, schernirsi. Parla il grande sconfitto, il ministro Luca Lotti, che fantastica di opportunità per «ripartire dal basso, da come s’insegna il calcio».

Ma il suo candidato, il presidente della Lega Pro Gravina, non ce l’ha fatta. E su di lui pesa indelebile la firma in calce al disastroso Tavecchio bis, che ha portato alla mancata qualificazione mondiale.
Tace invece, e ne ha ben donde, il presidente del Coni Giovanni Malagò, grande regista del doppio commissariamento: prima la Figc, poi a ruota, inevitabilmente, la Lega di Serie A. Intercettato ieri a margine di un convegno, Malagò dice che non sa, non ha nemmeno letto i giornali, domani è un altro giorno.

Domani, infatti, è convocata la Giunta straordinaria del Coni che dovrà indicare il nome del commissario federale, e Malagò potrebbe decidere di auto investirsi. Anche se, tra dieci giorni cominciano le Olimpiadi Invernali, e partirà per un mese per la Corea del Sud, e sarebbe meglio restare tra Roma e Milano. Anche se, dicono alcuni, Malagò vorrebbe ritagliare per sé addirittura il ruolo di commissario della litigiosa Lega di Serie A, assai più decisivo, lasciando la Figc al fido Roberto Fabbricini, allo scudiero Michele Uva, o a un terzo nome di facciata.

La vera partita politica, infatti, è sui diritti tv della Serie A, unica voce da cui provengono i ricavi delle disastrate casse dei club, dopo che ben due aste sono andate deserte. Dimenticata ogni seria ipotesi di riforma del pallone – investimenti nei vivai, scuole calcio federali gratuite diffuse sul territorio, ius soli sportivo – al commissario Figc toccherà infatti solo riscrivere le regole dell’assemblea elettiva; è assurdo che la serie A conti per il 12% e i Dilettanti per il 34%. E poi nominare il nuovo allenatore della Nazionale:favorito Roberto Mancini, seguono Conte e Ranieri.

Al commissario della Serie A toccheranno invece altri temi, ben più importanti. Non è un caso, infatti, che ieri Urbano Cairo se ne sia uscito con la proposta di una futura Serie A indipendente e staccata dalla federazione sul modello della Premier League inglese.
Ecco il piano. Una lunga marcia che comincerà con la cessione dei diritti tv in un unico pacchetto al nuovo advisor MediaPro, con o senza l’arrivo del falangista spagnolo Javier Tebas nel ruolo di amministratore delegato (col commissariamento è meno probabile), pacchetto di cui Cairo, en passant, gestirà la raccolta pubblicitaria, e terminerà con la privatizzazione della Serie A. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza l’intervento della politica.

Proprio mentre lunedì a Fiumicino si consumavano le idi di gennaio del pallone, Forza Italia ufficializzava la blindatura di Sibilia, l’attuale senatore correrà da capolista per la Camera, e un seggio sicuro al Senato per Claudio Lotito in Irpinia. La mossa del cavallo che ha dato il via libera al duo Sibilia-Lotito per farsi da parte e accettare il commissariamento.

Sarà un’ulteriore coincidenza, ma uno dei nomi più papabili per essere il prossimo ministro dello sport, sia in caso di governo monocolore sia di Große Koalition, è quello di Adriano Galliani, anche lui sicuro di un posto al Senato, che di Lotito fino a ieri era il miglior sodale nella scellerata gestione delle cose del pallone. Ora toccherà quindi a Galliani e Lotito, da Palazzo Madama e non più da via Rossellini, dialogare con Urbano Cairo, che come abbiamo scritto ieri è stato il grande regista del doppio commissariamento insieme a Malagò, nella creazione di una Serie A indipendente dalla Federcalcio. E dal Coni. Con gran sollievo del suo presidente.