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La «partita della morte» e altre pagine fasciste nella storia del calcio

La «partita della morte» e altre pagine fasciste nella storia del calcio10 settembre 1931. Bruno Neri, il terzo da sinistra, non alza il braccio per salutare Mussolini prima di una partita, a Firenze. Neri sarebbe entrato successivamente nella Resistenza, e avrebbe trovato la morte nel 1944 sull'Appennino tosco-emiliano, per mano delle truppe tedesche

Sport Chris Lee raccoglie in un libro episodi preziosi e drammatici: «The Defiant – A History of Football Against Fascism», edito nel Regno Unito da Pitch Publishing Ltd

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 26 novembre 2022

«La partita della morte» disputatasi nella Kiev sotto il dominio nazista: lo scrittore inglese Chris Lee non poteva scegliere un episodio più significativo per aprire il suo prezioso libro The Defiant – A History of Football Against Fascism. Un match tra esponenti delle SS tedesche e una squadra locale composta anche da ex giocatori delle locali squadre Dinamo e Lokomotiv e che in realtà era la rivincita di un primo incontro vinto dagli ucraini. La vulgata vorrebbe che i giocatori del team di Kiev si rifiutarono di far vincere i tedeschi, come era stato «suggerito» loro, e finirono per imporsi 5-3. Alcuni di loro subirono rappresaglie e almeno quattro morirono. A questo evento si è ispirato John Huston per il suo film del 1981 Fuga per la vittoria, che però si svolge in Francia e ha come protagonisti un giovane Silvester Stallone, Michael Caine e una pletora di campioni del calcio dell’epoca, a partire da Pelé.

America Latina
Al netto della perdurante incertezza su come andarono realmente le cose a Kiev e della glorificazione per fini propagandistici poi attuata dai sovietici, la «partita della morte» rappresenta un simbolo di fortissimo impatto. Ma è solo l’inizio di un lungo viaggio a tappe nel Vecchio Continente, con puntata in America Latina, nel quale Lee racconta con grande dovizia di particolari e contributi di esperti qualificati come pezzi del mondo del calcio si siano opposti con vigore all’avanzata di fascismo e nazismo nel secolo breve e continuino a farlo anche ai giorni nostri, con la nascita di club comunitari e iniziative di gruppi di tifosi per porre un argine all’estrema destra.

Ma è anche un libro sull’uso politico del calcio e, non a caso, un lungo capitolo è dedicato all’Italia e alla strumentalizzazione del pallone fatta da Benito Mussolini durante il ventennio, punteggiato dai successi degli Azzurri di Vittorio Pozzo. Una nazionale fortissima, certo, ma che non aveva remore a impiegare i cosiddetti «oriundi», per lo più giocatori nati e cresciuti in Sud America. E soprattutto che, come tutte le squadre italiane, salutava con il braccio teso a inizio partita.

Ci fu chi si rifiutò di assolvere a questa pratica odiosa, come Bruno Neri della Fiorentina. Entrato successivamente nelle file partigiane, trovò la morte nel 1944 sull’Appennino tosco-emiliano per mano delle truppe tedesche. Va detto che gli «oppositori» non erano così numerosi e che calciatori di spicco come il portiere Aldo Ulivieri, di note posizioni anti-fasciste, tendevano a prendere posizioni di compromesso, soprattutto quando vestivano la maglia della nazionale. Ulivieri fu uno dei protagonisti della vittoria nella Coppa del Mondo del 1938 in Francia, dove numerosi italiani riparati oltralpe per sfuggire alla morsa della dittatura fecero fronte comune con i tifosi locali per contestare la nazionale con il fascio littorio sul petto. Era fresco il ricordo della strage di Guernica, durante la guerra civile spagnola, nella quale i bombardieri italiani avevano avuto un ruolo di primo piano.

Inghilterra
Diverso fu invece l’atteggiamento del governo britannico nei confronti della nazionale tedesca, con cui l’Inghilterra giocò due partite fra il 1935 e il 1938, la prima a Londra, la seconda a Berlino. Per tenere fede alla politica dell’appeasement voluta dal primo ministro Neville Chamberlain, in entrambe le occasioni la federazione calcistica inglese fece di tutto per non «turbare» i tedeschi, fino ad obbligare i suoi giocatori a salutare con il braccio teso prima dell’inizio della sfida in terra teutonica. Il difensore Stan Cullis, una delle stelle dell’epoca, aveva fatto sapere di essere fermamente contrario a un gesto del genere. Non a caso non fu selezionato per la disfida di Berlino.

Come emerge dalle dettagliate ricostruzioni di Lee, negli anni della guerra tanti furono i giocatori o ex giocatori a perire in battaglia o a causa degli stenti provati nei campi di concentramento. Ma allo stesso tempo un po’ ovunque si continuò a giocare a calcio. Anche nei paesi occupati dai nazisti, con l’eccezione della Polonia, dove però si tennero lo stesso partite «clandestine» soprattutto a Varsavia e Cracovia.

Nel dopo guerra la forma di resistenza al fascismo più eclatante da parte del mondo del football si ebbe forse nel Portogallo sotto la dittatura di Salazar. I giocatori dell’Academica di Coimbra, città universitaria dove stava montando la protesta contro il regime, nel 1969, in occasione della finale della coppa nazionale, entrarono in campo indossando i mantelli neri degli studenti e simbolo dell’opposizione. Nessun di loro fu mai convocato in nazionale, ma in tanti pensano che la prima scintilla dalla rivoluzione dei garofani del 1974 sia scoccata cinque anni prima.

Rayo Vallecano
Rimanendo nella penisola iberica, non poteva mancare una menzione al Rayo Vallecano, espressione del quartiere operaio per eccellenza di Madrid e contraltare del club dell’establishment, il Real Madrid tanto caro a Franco. Il Rayo è a ragione considerato uno dei club con la tifoseria più anti-fascista d’Europa, un po’ come da noi il Livorno o in Germania il St Pauli di Amburgo, ormai un team simbolo dalla portata internazionale, con sostenitori sparsi un po’ ovunque.

Nell’est della Germania, invece, impossibile non menzionare il Babelsberg, la cui tifoseria «di sinistra» si trova a fronteggiare, spesso subendo gravi violenze, compagini con un seguito di supporter di estrema destra.

Rimanendo nella terra di Schiller e Beethoven, ma facendo di nuovo un salto negli abissi dell’era nazista, in questi giorni di un mondiale così controverso è significativo menzionare quanto accadde alla nazionale tedesca del 1938. C’era appena stata l’Anschluss, l’annessione dell’Austria alla Germania, e si decise di immettere tra le file tedesche anche giocatori austriaci – all’epoca tra i più forti del Vecchio Continente. L’esperimento andò malissimo, perché di fatto le due fazioni di calciatori non si amalgamarono, ma anzi in campo nessun austriaco passava la palla a un tedesco e viceversa. E così la Germania finì per uscire al primo turno per mano della poco quotata Svizzera.

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