Nel panorama politico europeo l’Irlanda costituisce un’eccezione. In un paese dove storicamente è stata la questione nazionale, più che quella di classe, a definire le geografie politiche, da decenni i due principali partiti che si contendono le elezioni sono entrambi di centro-destra: Fianna Fáil e Fine Gael. La divisione fra i due partiti ha le sue radici nella guerra civile di cent’anni fa sul Trattato Anglo-Irlandese, che sancì la definitiva divisione fra Repubblica d’Irlanda e Nord Irlanda: il Fianna Fáil origina dalla frazione che si oppose al trattato, viceversa per il Fine Gael. Da allora il governo è sempre stato guidato da uno dei due partiti, ma mai insieme. Lo schema si dovrebbe ripetere anche dopo le elezioni del prossimo 8 febbraio, ma non sono da escludersi delle sorprese.

BENCHÉ SCONFITTO nella guerra civile, il Fianna Fáil ha a lungo dominato la politica irlandese. Di impostazione conservatrice sui diritti civili, ma con una politica economica capace di intercettare anche una parte significativa della classe operaia, fino al 2007 il partito scese sotto il 40 per cento dei voti soltanto due volte. Ma nel 2011, a seguito di anni disastrosi di gestione della crisi finanziaria e l’imposizione di pesanti politiche di austerità, culminati con l’arrivo della Troika a Dublino, gli elettori hanno punito il partito, che ha visto i suoi voti collassare al 17.4 per cento, il risultato peggiore della sua storia. Dal 2011 ad oggi a governare il paese è stato dunque il Fine Gael, di impostazione più liberale sui diritti civili e più liberista per i diritti sociali.

LA SINISTRA, STORICAMENTE, è debole. Il partito laburista irlandese non è mai stato in grado di proporsi come forza maggioritaria ma solo come partner di coalizione. Al momento i laburisti stentano a riprendersi dalla disastrosa elezione del 2016, in cui gli elettori punirono la partecipazione alla coalizione con il Fine Gael che mise in atto il programma concordato con la Troika. I partiti della sinistra radicale sono solitamente in grado di eleggere soltanto un manipolo di parlamentari. Una parziale eccezione a questa tendenza è la crescita del Sinn Féin. Il partito repubblicano di sinistra ha visto crescere negli anni la sua base di voti, arrivando a essere il terzo partito alle elezioni del 2016, grazie all’opposizione alle politiche di austerità messe in atto dai governi guidati dal Fianna Fáil prima e dal Fine Gael dopo. Alle ultime elezioni europee anche i verdi hanno registrato un buon risultato, dopo anni difficili a causa della partecipazione al governo guidato dal Fianna Fáil all’inizio della crisi.

ANCHE SE LA SCADENZA naturale della legislatura fosse nel 2021, le elezioni erano nell’aria da tempo. Dal 2016, il Fine Gael guida un governo di minoranza sostenuto da un accordo esterno col Fianna Fáil, essenzialmente per portare a termini i negoziati sulla Brexit. Ma dopo la vittoria elettorale di Boris Johnson e la firma dell’accordo di uscita dall’Ue l’accelerazione sulle elezioni era inevitabile. Il Fine Gael punta tutto sul buon andamento dell’economia e sulla gestione delle negoziazioni sulla Brexit, in cui il governo è riuscito a far convergere l’Ue sulla posizione irlandese per quanto riguarda il confine col Nord Irlanda.

Il Fianna Fáil punta il dito sui problemi che, nonostante la ripresa, persistono nel paese: la crisi immobiliare e lo stato preoccupante di servizi pubblici come la sanità. Entrambi i partiti hanno presentato manifesti con promesse di investimenti e tagli alle tasse, ma senza mettere in discussione il modello di sviluppo irlandese, centrato sulle multinazionali attratte da una bassissima tassazione sulle imprese.

AL MOMENTO I SONDAGGI danno il vantaggio Fianna Fáil, guidato da Micheál Martin, rispetto al Fine Gael del premier uscente Leo Varadkar. C’è però un terzo incomodo: il Sinn Féin, dopo i deludenti risultati delle scorse elezioni locali ed europee, sembra nuovamente in crescita e negli ultimi sondaggi è dato quasi appaiato al Fianna Fáil. Il partito va forte soprattutto fra i giovani e presenta un programma che prevede anche un aumento delle tasse alle corporation. Se l’8 febbraio, come sembra probabile, nessun partito riuscisse ad aggiudicarsi abbastanza seggi per governare da solo, scatterebbe un complicato valzer delle coalizioni. Il Fine Gael ha proposto al Fianna Fáil una ‘grande coalizione’, che sarebbe la prima nella storia irlandese, ma il leader del partito Micheál Martin ha rifiutato. Il Sinn Féin si è detto disponibile a governare con chi accetti una serie di punti programmatici, fra cui l’indizione entro cinque anni di un referendum sull’unità con il Nord Irlanda, ma sia Fine Gael che Fianna Fáil hanno già escluso la possibilità di un accordo. Secondo Helena Sheehan, studiosa e attivista della sinistra irlandese, sarebbe importante che il Sinn Féin resistesse alle sirene dei due partiti per concentrarsi sulla costruzione di una possibile coalizione di governo di sinistra.

L’ipotesi più probabile rimane quella di un governo guidato dal Fianna Fáil, in coalizione con i verdi e i laburisti, con un appoggio esterno del Fine Gael. Ma già il fatto che si metta in discussione il duopolio che ha da sempre dominato la politica irlandese è significativo.