Quando le lancette dell’orologio segnano mezzogiorno, al pianoterra del dipartimento Patrimonio e politiche abitative di Roma Capitale la temperatura si alza improvvisamente. Non solo per gli insoliti 18 gradi che fanno sembrare il 13 febbraio un giorno di primavera. Né per i raggi di sole che entrano dalle pareti di vetro sella sala. «Se usiamo toni forti è perché siamo stanchi – dice Alessandro Torti, dell’atelier autogestito Esc – Ci siamo impegnati a restituire alla città servizi, socialità, formazione, cultura, ma continuiamo a essere trattati come dei “furbetti” che avrebbero tratto non si sa quali vantaggi dalle assegnazioni degli edifici comunali».

AL CENTRO DEL DIBATTITO c’è la bozza di regolamento sulle concessioni del patrimonio indisponibile, cioè destinato a usi di pubblica utilità. Dietro al tavolo il presidente della commissione Francesco Ardu (5S), i consiglieri comunali Stefano Fassina (Si), Giulio Pelonzi (Pd) ed esponenti della maggioranza grillina. Di fronte la «città solidale», cioè le esperienze di autogestione e associazionismo che per 30 anni hanno segnato l’anomalia romana, dai quartieri nell’anello ferroviario alle periferie. Tra loro sono presenti i centri sociali Auro e Marco di Spinaceto, Corto Circuito di Cinecittà e La Torre di Rebibbia, le associazioni di Corviale e del Tiburtino.

LA QUESTIONE RIGUARDA DECINE di realtà romane: tutte quelle che hanno ottenuto l’assegnazione di beni indisponibili a fronte di attività di rilievo socio-culturale. Come la Scuola popolare di musica di Testaccio di Giovanna Marini o l’asilo interculturale Celio Azzurro, lo spazio di incontro per bambini con problemi psichiatrici Grande Cocomero o l’associazione contro la Sla Vita onlus. Dal 2015 sono vessate da ingiunzioni di pagamento da centinaia di migliaia di euro e ordini di abbandonare i locali. L’azione della Corte dei conti ha tentato, senza successo, di accomunare queste esperienze a chi ha utilizzato il patrimonio comunale a fini privati. Fallita quella linea è rimasto il vuoto della politica.

ARDU APRE la seconda seduta sulla bozza di regolamento rispondendo alle critiche ricevute nelle due settimane precedenti. Dimostra volontà di dialogo ma difende i punti controversi: la premessa al testo che individua nell’autonomia finanziaria della città lo scopo del patrimonio immobiliare; lo strumento dei bandi di gara per le concessioni degli spazi; la possibilità di utilizzare i beni indisponibili a scopo commerciale e l’articolo 24 sulla loro valorizzazione economica. I consiglieri 5 Stelle affermano che questi punti non mettono a rischio lo status del patrimonio indisponibile.

CONTRARIE, però, rimangono tutte le realtà presenti. Chiedono di esplicitare la destinazione sociale, esclusiva o almeno prevalente, di quel tipo di beni. Vogliono il superamento dei bandi come procedure per le assegnazioni perché creerebbero concorrenza sia tra associazioni e realtà imprenditoriali che tra soggetti grandi e piccoli del terzo settore. Anche perché, sottolineano, il patrimonio capitolino non è un bene scarso e la priorità non dovrebbe essere fare delle gare su quello già utilizzato, ma assegnarne le parti vuote.

«CREDO CHE con la maggioranza esistano obiettivi comuni di tutela di questi beni – dice Fassina – Per il modo in cui è scritto, però, il regolamento rischia di metterli in pericolo. Sul patrimonio di Roma volteggiano gli avvoltoi». I rischi principali sono che, al di là della volontà degli estensori del testo, alcune parti del regolamento da un lato spalleggino chi vuole usare i beni indisponibili per ripagare il debito della città e dall’altro ne precludano la gestione a favore della collettività da parte di realtà con scarse disponibilità economiche. «Non abbiamo già restituito tanto sottraendo decine di ragazzi alla criminalità organizzata con le attività gratuite di doposcuola e socialità nei quartieri popolari? Dobbiamo anche pagare per questo?», chiede Serena Sciannimanico, dell’Arci di Tiburtino III.

NELLE PROSSIME SETTIMANE si vedrà fino a che punto i 5 Stelle hanno voglia di rendere effettiva la bandiera della partecipazione. Uno dei nodi è se le proposte di modifica saranno presentate come singoli emendamenti oppure si accetterà la richiesta delle associazioni di riscrivere in maniera partecipata e condivisa il testo di partenza. Potrebbe essere un esperimento estremamente innovativo, anche per una maggioranza che per troppo tempo non ha voluto ascoltare questo pezzo di città.