Dissento da coloro che sostengono che il summit sulla salute globale tenutosi a Roma il 21 maggio sia stato un’occasione perduta. Il summit, condotto con sapienza da Ursula von der Leyen e Mario Draghi, ha perfettamente centrato l’obiettivo che si era dato: tastare il polso dello status quo sanitario e assicurarsi che nessuna terapia estemporanea potesse metterne in discussione l’incerto stato di salute. L’incontro internazionale, con la partecipazione dei pezzi da novanta della leadership mondiale, è stato un successo incontestabile.

L’ordine delle cose, pur imbellettato dallo sdegno retorico delle inaccettabili disparità nella distribuzione mondiale dei vaccini – l’85% delle dosi usate nei paesi ricchi, e lo 0,3% destinati ai paesi a medio e basso reddito – è salvo! La sua patogenesi del resto non colpisce indiscriminatamente.

C’è una sofisticata grammatica da decodificare nel costrutto geopolitico del primo vertice sanitario del G20, intorno al quale si è imbandita una vigilia di aspettative sorprendente. Aprendo i lavori, la presidente della Commissione europea ha dichiarato che il summit inaugurava «un nuovo capitolo nella storia della salute pubblica». Se un anno fa, a pochi mesi dallo scoppio della pandemia, l’agenda della gestione di Covid-19 si situava almeno formalmente nelle mani dell’Oms, terreno di sconto tra Donald Trump e la Cina, oggi il summit di Roma normalizza la situazione nel solco del multi-stakeholderismo – tutti al G20 partecipano alla discussione, non solo i governi – e conferma il rapporto di scambio sia fra industria e governi, sia tra paesi ricchi e paesi poveri.

La sintassi del summit non lascia equivoci. Il G20 ha concesso un’ingombrante titolarità di parola al settore privato, nella filiera di potere che raccorda Bill Gates alla potenza di fuoco dei Ceo di Gavi e Cepi, all’intervento del Ceo di Global Citizen (pseudo organizzazione non profit finanziata dall’industria, promotrice di VaxLive) e alle promesse dei ceo di Pfizer, Moderna e Johnson & Johnson. In trionfale sequenza, costoro hanno annunciato i piani globali di produzione e di vendita dei rispettivi vaccini – 1,3 miliardi di dosi entro il 2021 e altrettante nel 2022 – con un classico schema di prezzi differenziati. Nessuno sa ovviamente di quali prezzi stiamo parlando. Se cioè le aziende alludono al “prezzo di emergenza” – comunque più alto nei contratti bilaterali con i paesi del sud globale – o del “prezzo di mercato” in vigore non appena i vaccini avranno l’autorizzazione definitiva dalle agenzie del farmaco, alle prime avvisaglie di soluzione della pandemia. Nessuno ha osato chiedere, ma vale la pena dare un’idea. Una dose Pfizer ha un prezzo massimo di 18 dollari a regime di emergenza; la stessa dose costerà tra 150 e 175 dollari nella fase commerciale che potrebbe iniziare già nel 2021 (quotazioni di Pfizer).

L’elefante nella stanza, lo sapevano tutti, era la questione dei monopoli brevettuali in tempo di pandemia, e la presidente della Commissione Europea lo ha preso per la proboscide per neutralizzarlo. La proprietà intellettuale è stata evocata, insieme alla necessità di favorire l’accelerazione dello sviluppo e della produzione dei rimedi contro Covid-19. Spagna, Francia e Italia hanno osato pronunciare la parola waiver riferendosi al dibattito globale per interrompere momentaneamente le regole del commercio, così inadeguate a una emergenza sanitaria.

Ma sono state aperture molto caute, battute teatrali in una sceneggiatura fissata da Angela Merkel e Ursula von der Leyen, la quale ha sentenziato che «le licenze volontarie sono la via migliore». Il sottotesto era talmente perentorio che Kamala Harris non si è neppure azzardata a citare la sospensione dei brevetti del presidente Biden. Non si può certo inficiare il neo-atlantismo vaccinale benedetto dalla alleanza multimiliardaria Pfizer-BionTech. Non si possono rompere le uova nel paniere del Wto, mentre la direttrice generale cucina la ricetta da portare alla 12ma interministeriale di novembre, fatta di incentivi alle aziende perché facciano accordi bilaterali con imprese del sud del mondo, preservando i loro monopoli, in cambio di facilitazioni doganali e forse – chissà – anche fiscali. E infatti ricorrono gli annunci di alleanze Europa-Africa per la produzione dei vaccini.

La proposta di India e Sudafrica esce oggettivamente indebolita dal Summit del G20. L’intervento del presidente sudafricano Ramaphosa – parole forti e convincenti – arriva dopo l’annuncio di Pfizer che in Sudafrica il suo vaccino è in fase di adattamento alla variante locale. Il nuovo prodotto attende la validazione della agenzia del farmaco a settembre. L’ordine di parola è esercizio di stile.

L’Oms infine ha manifestato tutta la sua marginalità. Il mantra del rafforzamento dell’agenzia ha avuto come surreale contrappunto l’annuncio di nuove sedi istituzionali in cui fissare la gestione della pandemia e le politiche sanitarie: il Global Health Council, il Global Policy Forum europeo. Scrive Stephen King che non c’è despota crudele come la confusione.