Una rete di movimenti, collettivi, attivisti, organizzazioni di popoli indigeni, comunità di afro-discendenti, contadini, ambientalisti, accademici, artisti, religiosi, donne, giovani e abitanti delle città amazzoniche lanciano la prima Assemblea mondiale per l’Amazzonia.

Tutti coloro che hanno a cuore le sorti dell’Amazzonia, dei suoi popoli e del pianeta sono chiamati a raccolta. L’evento si svolgerà online il 18 e 19 luglio, alle ore 22 in Italia. Si vuole sviluppare un confronto sulla drammatica condizione in cui si trovano territori e popolazioni, per arrivare a costruire un percorso condiviso che consenta di salvare l’ambiente naturale e le comunità. C’è la consapevolezza che l’Amazzonia stia attraversando la più grave crisi degli ultimi decenni. Siamo di fronte a un vero e proprio assalto ai territori e alle risorse naturali di tutta la regione amazzonica. Le popolazioni indigene da sole non possono ostacolare i processi in atto, hanno bisogno di essere sostenute da tutte quelle forze che considerano la grande foresta come un’area vitale per il pianeta. La pandemia sta aggravando le condizioni di vita e di salute delle comunità indigene, con i governi che affrontano questa emergenza con una visione di tipo coloniale. Il coronavirus è penetrato in profondità nell’Amazzonia e secondo l’Apib (Articolazione dei popoli indigeni del Brasile) la mortalità tra gli indigeni è il doppio rispetto al resto della popolazione.

L’Assemblea vuole essere la prima tappa di una serie di iniziative che porteranno a una giornata mondiale di mobilitazione «contro l’etnocidio, l’ecocidio e l’estrattivismo in Amazzonia, aggravati dalla pandemia». Nella convocazione si denuncia «lo stato di indifferenza, abbandono, sfruttamento e razzismo che da secoli soffrono i popoli della foresta» e l’accelerazione che questi fenomeni hanno registrato in questi ultimi anni. Un deterioramento causato da molti fattori che operano congiuntamente e che vengono puntualmente denunciati: l’attività delle imprese agroindustriali e l’espansione delle monocolture transgeniche, gli agrocarburanti, l’estrazione legale e illegale di minerali, l’estrazione e dispersione di idrocarburi, la biopirateria, i mega progetti idroelettrici, linee di trasmissione e strade mal pianificate, gli investimenti gestiti da organizzazioni finanziarie internazionali, il traffico di droga e la criminalità organizzata.

VIENE DENUNCIATA LA LOGICA estrattivista che ha pervaso la politica di tutti i governi, neoliberisti e progressisti, con un inevitabile indebolimento sociale ed economico della regione amazzonica. Ma viene anche rigettata la logica con cui i governi rispondono alla crisi economica causata dal Covid-19, prospettando come unica soluzione quella di promuovere ulteriormente l’estrattivismo, col conseguente allentamento di tutte le disposizioni legali, ambientali e sociali nei confronti dei territori e delle popolazioni indigene. Si afferma con decisione che «la distruzione dell’Amazzonia ci porta più vicini al precipizio e alla catastrofe climatica perché senza Amazzonia vivente non ci può essere futuro per l’umanità». Viene messo in risalto il ruolo che stanno svolgendo le donne indigene, «le più minacciate e allo stesso tempo le più creative e resistenti nella difesa del loro corpo-territorio». Nel documento di convocazione viene sottolineata la necessità creare un vasto fronte per fermare la distruzione, ma con i popoli originari che devono avere un ruolo da protagonisti. E si afferma: «Il nostro obiettivo è quello di articolare un’alleanza al servizio delle piattaforme e delle campagne esistenti, per rafforzare le nostre azioni e il nostro impatto nella difesa dei diritti umani, dei diritti dei popoli indigeni e dei diritti della natura». La prima delle due giornate sarà dedicata alla riflessione e alla discussione sui problemi dei paesi e della regione pan-amazzonica, mentre il secondo giorno verranno esaminate le proposte di azione.

IL LAVORO PREPARATORIO DI QUESTI mesi ha portato alla individuazione di tre campagne che le comunità e i movimenti metteranno in atto: una campagna globale per affrontare i gravi impatti del Covid-19 sulle popolazioni indigene, gli afro-discendenti e l’intera Amazzonia; una campagna globale per boicottare prodotti, aziende, investimenti, politiche governative, accordi commerciali e industrie estrattive che distruggono l’Amazzonia; una campagna con giornate di mobilitazione globale per fermare i processi in atto e salvare la foresta.

NELLA PARTE FINALE DELL’APPELLO si ribadisce che «l’Amazzonia è essenziale per fermare il cambiamento climatico e una umanità sana e con un futuro ha bisogno di foreste e popoli amazzonici vivi». Il vasto territorio che viene definito Amazzonia si estende per 6,7 milioni di kmq e si sviluppa in nove paesi del sud-America. In Brasile si concentra il 60% della foresta. Sono 34 milioni gli abitanti che vivono nella regione amazzonica e, di questi, più di 3 milioni sono indigeni di 390 gruppi etnici. Nella regione, oltre ai popoli originari, sono presenti comunità di afro-discendenti, campesinos (piccoli agricoltori), ribeirinhos (comunità che vivono lungo i fiumi e si dedicano alla pesca). un intreccio di popoli e di culture costantemente minacciati.

SOLO A PARTIRE DALLA METÀ degli anni ’80 si è presa coscienza a livello mondiale delle dimensioni che la deforestazione stava assumendo e quali conseguenze poteva avere per tutto il pianeta. I dati attuali mostrano che il 20% dell’Amazzonia è già stato distrutto, ma sappiamo anche quanto il suo stato di salute sia sempre più legato a quello del clima globale. Nonostante gli appelli e le misure per controllare i cambiamenti climatici, negli ultimi due anni la deforestazione nella regione amazzonica ha subito una accelerazione impressionante.

IL BRASILE È IL PAESE CHE STA SUBENDO la devastazione maggiore. Secondo l’istituto nazionale di ricerca spaziale brasiliano (Inpe), nel giugno di quest’anno è andata distrutta nel paese la maggiore superficie della serie storica mensile, 1.034 kmq, il 10,6% in più dello stesso mese dell’anno precedente. Nei primi 6 mesi del 2020 la deforestazione è cresciuta in Brasile del 25% rispetto allo stesso periodo del 2019, con 3.070 kmq di vegetazione distrutti, il doppio dell’area occupata dalla città di San Paolo. Persino gli investitori stranieri e qualche associazione di imprenditori brasiliani, che pure contribuiscono alla deforestazione, si mostrano preoccupati per l’immagine negativa che il Brasile proietta nel mondo in tema di ambiente e sollecitano il governo brasiliano ad adottare misure di salvaguardia ambientale.

A PREOCCUPARE SONO LE CAMPAGNE di boicottaggio nei confronti delle produzioni brasiliane che non rispettano le leggi sul clima e il codice forestale. Ma la strada per fermare lo sfruttamento predatorio è illegale delle risorse, salvaguardando le popolazioni indigene, è quella indicata dagli organismi e dalle comunità che hanno indetto questa prima assemblea mondiale sull’Amazzonia.