Vittorio Meloni sceglie il crepuscolo, tra i momenti del giorno, per descrivere l’atmosfera che avvolge i media oggi e forse anche per dire che, comunque, possono ancora fare luce. Si intitola, infatti, Il crepuscolo dei media, il suo saggio uscito per gli Editori Laterza (pp. 144, euro 13) – che sarà tra l’altro presentato oggi a Roma, presso la Fieg, via Piemonte 64, ore 17 – dove lucidamente descrive la parabola, e prova a intuire la nuova direzione, dell’industria dell’informazione. E sceglie il crepuscolo per non allinearsi a quelle profezie che li vorrebbero avvolti piuttosto dal buio della notte.

UNO SGUARDO OTTIMISTA che gli deriva però dalla convinzione che al mondo dei media spetterà un compito importante. Quello di gestire e governare un cambiamento che, partito da uno slancio di innovazione tecnologica senza precedenti quanto a radicalità e velocità, investe di fatto l’intero vivere civile. Sì, perché la comunicazione, il linguaggio, chiave di volta di questa come di tutte le società del passato, si esprime oggi in modalità ambigue, che se da una parte sembrano inneggiare alla libertà, alla condivisione, alla partecipazione, di fatto ci chiudono (anche) in piccoli mondi separati, o dissolvono i sensi di appartenenza identitaria, o ci ingannano fornendoci informazioni che vere non sono.

NELLE PRIME ottanta pagine del libro sono ben descritti tutti i mali che affliggono l’editoria giornalistica e il mondo dei media più in generale: la scomparsa dei lettori, la frammentazione dell’audience, la retta discendente, a causa della concorrenza dei social e degli over the top, dei ricavi da vendita e da pubblicità, l’inganno dei quotidiani in Rete, vetrina irrinunciabile che però non porta guadagno.

Dopo questo affresco, Meloni allarga lo sguardo fino a ricomprendervi gli esiti della grande trasformazione. A partire dalla scena, ora dominata dal mercato digitale, sul cui proscenio si alternano i nuovi protagonisti: i canali social, che veicolano il flusso informativo con un inaudito potere di influenza sul pubblico e con modalità che hanno totalmente stravolto la catena della concezione, produzione, distribuzione e selezione del materiale editoriale. Senza contare che oggi, poi, tutti scrivono. Di qui quella deriva verso le fake news, protagonista di una accesa discussione che parla di vero, post verità, verosimile e che necessariamente dovrà evolversi verso una qualche forma di regolamentazione. Soltanto sullo sfondo, nel coro, agenzie, giornali e tv, con la resilienza, scrive Meloni, di una radio che, seppure in streaming magari, resiste con i suoi assoli.

TUTTO CAMBIA, le imprese si adeguano, la sensazione però – avverte Meloni – è quella di un grande disordine comunicativo. Si pone il problema delle competenze, non solo di quelle che non ha chi si improvvisa giornalista e comunicatore sul web, ma anche quelle, tutte nuove, che giornalisti e comunicatori devono avere oggi. È cambiato il contenuto della «cassetta degli attrezzi», ma non tutti quelli che fanno questo «mestiere» l’hanno svuotata per riempirla con il necessario. Di più, la Rete ci imbriglia non solo per quanto riguarda le notizie, ma pervade i nostri mondi più personali, in un’alternanza di respiro libero e soffocamento con cui tutti devono fare i conti.
Un mondo nuovo, una «grande opportunità» come dicono in molti, ma di grande complessità. I suoi risvolti sono tanto positivi quanto negativi, pongono problemi allo stesso vivere democratico. Meloni affida alle ultime pagine del saggio la ricerca di una possibile visione del futuro dei media, ma – avverte – le risposte alle domande create dallo scenario sono tutte per ora provvisorie.

PROVVISORI e non sempre di successo i modelli di business adottati dalle imprese editoriali che si sono allargate nell’universo della Rete (unica strategia di sopravvivenza, comunque, per Meloni). Provvisori e sempre interlocutori i pareri degli esperti sul futuro della narrazione del mondo – mission stessa dell’informazione –, sul rapporto sempre più stretto tra fatti ed emozioni in questa narrazione e sul sempre minore impatto dei primi, con una netta prevalenza, inoltre, dei rumors sulle «notizie». Anche se la Rete avrebbe potenzialmente allargato la platea dei lettori dell’informazione alla massa di tutti coloro che erano distanti dall’editoria tradizionale, ai quali quella editoria tradizionale non si rivolgeva.
La tecnologia, le piattaforme digitali dove scorre la comunicazione, non spiegano da sole il mutamento in corso. Piuttosto, per Meloni, hanno aperto le porte di stanze di cui si percepisce appena il perimetro.

LA SOCIETÀ «LIQUIDA» di Zygmunt Bauman richiederà un’informazione liquida, anche se adesso non si intravede chiaramente come essa si manterrà, chi pagherà per la sua produzione. Forse si guadagnerà in modi indiretti dalla costruzione di comunità intorno a interessi piuttosto che a prodotti, forse la pubblicità avrà un ruolo meno fondamentale. La risposta, sembra dire Meloni, è che non ci sono ancora risposte. Solo una trama da seguire, che però si incastra saldamente nelle pieghe, a maglie ora larghe ora strette, delle «nuove realtà digitali».