IIn isolamento – un misericordioso isolamento, questa volta. Rudy Giuliani da ieri è ai domiciliari del Covid, suo figlio Andrew è risultato positivo. Il braccio armato legale di Donald Trump è costretto a chiudersi in casa, fare tamponi ed evitare le telecamere per qualche istante.
Mentre le cause contro gli elettori americani vengono liquidate dai tribunali – ieri un giudice ha respinto il ricorso trumpista in Nevada, è la 32esima sconfitta su 34 casi.

Ma il colpo più terribile Giuliani se lo era già dato da solo, due giorni fa, in una conferenza stampa annunciata come fine-di-mondo e finita in farsa. L’uomo è eccitato, parla profusamente: dietro le frodi elettorali c’è Hugo Chavez, George Soros, Antifa, i Clinton, la mafia, Big Media, la Cina, Cuba… Altrettanto profusamente l’uomo suda. E due briglie marroni si distendono dalle tempie giù lungo le guance. Sotto le luci delle telecamere Giuliani si scioglie, letteralmente. È la fine di una parabola lunga trent’anni.

RUDOLPH WILLIAM LOUIS GIULIANI è nato nel 1944 a Brooklyn, New York. Grande famiglia italoamericana composta di poliziotti e pompieri, il padre Harold taverniere, a volte socio del proprio fratello strozzino. Rapinare un lattaio lo aveva mandato in galera per 18 mesi, all’uscita aveva trasferito la sua famiglia lontano da Broccolino. Rudy a 7 anni si ritrova a Long Island, galleggia fino al college ma è un eccellente studente di legge alla New York University – e fa politica, con il partito democratico.

Laurea magna cum laude nel ’68, prestigiosi incarichi da procuratore a Washington e poi l’occasione: un caso della commissione Knapp, quella di Serpico. Polizia corrotta.
A 29 anni diventa uno dei vice del procuratore capo federale – il presidente è Reagan e lui non è più democratico ma indipendente. Nel 1983 viene nominato procuratore capo del Distretto sud di New York, grossa zona che comprende il Bronx. Non è più indipendente ma repubblicano, un certo qual meretricio politico non sfigura sul curriculum.

E POI ARRIVANO le «finestre rotte». Marzo del 1982, The Atlantic pubblica un piccolo saggio, titolo appunto «Broken windows». Vi si dice che i vetri rotti moltiplicano la criminalità: suggeriscono che l’area non è controllata, incentivano prima il vandalismo e poi i furti e le rapine.
Arrestiamo gli assassini di vetrate e arresteremo gli assassini in generale.

In sei anni come Us attorney, Giuliani vince 4.152 casi e ne perde solo 25. In aula è bravo, ma fuori dall’aula anche di più, evitando come la peste i casi rischiosi e curando la pubblicità personale – incontrerà anche Giovanni Falcone. Nell’89 perde contro il primo sindaco nero di New York, David Dinkins, e quattro anni dopo ci riprova. A New York un milione di abitanti ormai vive di food stamps, i buoni pasto talmente diffusi che vengono accettati anche per pagare una nuova droga. Si chiama crack. Migliaia di professionisti ben pagati e scolarizzati emigrano nel vicino Vermont, portano denaro ma richiedono scuole, ospedali e servizi, ed eleggono il sindaco e il senatore che li garantisce. Si chiama Bernie Sanders.

Lo sceriffo Giuliani diventa sindaco e si ricorda delle finestre rotte. Lancia la Special Unit, unità di polizia con ampi poteri. Ordina valanghe di arresti per piccole infrazioni con un evidente profilo razziale. Diventa popolarissimo tra i costruttori, autorizzando a piene mani – uno dei palazzinari si chiama Donald Trump. La criminalità in effetti cala, ma come in ogni altra grande città. Quella che è aumentata non è la sicurezza, ma la percezione della sicurezza, ma in politica basta e avanza.

FINCHÈ LA “SUA” SPECIAL UNIT prima tortura un immigrato haitiano, Abner Louima, rompendogli nel retto il manico di uno sturalavandini, poi ne massacra un altro, Amadou Diallo, colpito decine di volte mentre cercava di prendere il portafogli.

La popolarità scende in picchiata, ma scendono in picchiata anche due aerei sulle Twin Towers: Rudy Giuliani interviene immediatamente e diventa il sindaco d’America – anni più tardi la città di New York perderà 10mila cause contro i lavoratori infortunati o ammalati per l’«assistenza subito».
Lascia il municipio aprendo la Giuliani Partners, studio con altissime connessioni specializzato in problemi scabrosi, dalle farmaceutiche che mentono sugli oppioidi agli stati petroliferi collusi con il terrorismo. Un cancro alla prostata gli chiude l’elezione a senatore, primarie modeste gli sbarrano la nomination presidenziale nel 2008 e nel 2012. Nel 2016 abbandona presto e appoggia l’uomo nuovo dei Repubblicani: Donald Trump.

È L’INIZIO DI UN RAPPORTO esplosivo. L’ex sceriffo di New York difende Trump in molte situazioni discutibili, inclusa la riservatezza delle dichiarazioni dei redditi, ma va oltre – il Fbi sta indagando sulla sua missione in Ucraina, cercando spazzatura contro il figlio di Joe Biden. Fino alle convulse elezioni 2020, quando lo sconfitto Trump gli affida la guida del team legale che deve invalidare il voto.

Caccia su due piedi ogni avvocato che non sostenga ciecamente la linea («Tu sei licenziato» / «e tu sei un fottuto stronzo», è il gustoso dialogo prima di affrontare un giudice). Convoca per errore la conferenza stampa che denuncia i brogli al Four Season sbagliato: non il grande albergo ma un’omonima azienda di giardini, tra una libreria per adulti e un centro per la cremazione.
DOPO TRENT’ANNI rimette piede in un tribunale, in Pennsylvania, sostenendo che 7 milioni di voti devono essere scartati. Naturalmente perde, ma a 20mila dollari al giorno anche perdere è un po’ vincere. Dal web riemerge un video di vent’anni fa a una cena di raccolta fondi: Giuliani in versione drag queen, parrucca gonna e tette finte, circuito da un Trump libertino.

 

 

L’altro giorno la conferenza stampa fine-di-mondo, da cui esce colando tintura.

Tra il pubblico c’era il figlio 32enne Andrew, risultato covid-positivo (come anche Donald Trump jr, che dichiara: «Passerò la quarantena a pulire le mie pistole»). Rudy Giuliani va in isolamento, grazie a dio.