Oggetto di polemiche e denunce roventi negli anni dello scontro Pdl-Ulivo, dopo solo 15 anni di vita la par condicio si è estinta nel silenzio più assoluto, in assenza di pubbliche cerimonie di commemorazione e – ci scommettiamo – di orfani che la rimpiangano. Anzi, che “non abiti più” nelle analisi della comunicazione politica, è una realtà tanto evidente quanto implicita, perché nessuno la dichiara o la rivendica.

Eppure tra l’incudine del conflitto d’interessi e il martello della sdrucita governance della Rai per lunghi anni la par condicio ha tentato di avere un ruolo, di mitigare gli eccessi che rendevano e rendono fisiologica la patologia rappresentata dalla coincidenza pressoché assoluta tra l’agenda setting e l’agenda della politica, con alcuni leader o presunti tali menù fisso di Tg e talk. Missione sostanzialmente fallita, anche perché l’Authority ci ha messo del suo per non far affezionare gli italiani e il mondo dell’informazione a un sistema di controlli finalizzati all’equilibrio nella comunicazione politica. I suoi innumerevoli “non interventi” ex-post, la logica del cronometro che segnalava i minimi dettagli “mancando” lo sguardo d’insieme, sono tutti elementi che hanno fatto imbestialire anche i giornalisti più accorti e corretti, oggetto di censure e multe come e più di quelli fedeli all’editore politico di turno.

Se ancora nelle elezioni del 2013 qualche funzione ha tentato di svolgerla, nell’era di Grillo, Renzi e Salvini qualsiasi argine all’invadenza squilibrata della politica in tv ha ceduto definitivamente, e neanche i “semafori” per regolare il traffico sono entrati in azione. In piena crisi di numeri e di budget i soggetti televisivi hanno scoperto che la politica “costa poco” e rende ancora abbastanza in termini di share. Ecco così la scelta trasversale di riempire le prime e seconde serate di talkshow.

Nel settembre del 2013 l’offerta dei talk è aumentata del 50% rispetto alla stagione precedente, e con gli ultimi nati in Mediaset siamo oggi a circa un + 75%. “Controllare” e conteggiare le innumerevoli presenze dei soliti politici e dei soliti giornalisti saltabellanti da uno studio all’altro è divenuto perciò impossibile e/o senza senso. Nell’ultima stagione tv, poi, la parziale uscita di scena o perdita di centralità di Silvio Berlusconi ha impattato fortemente sulle “sue” Tv, oltre che sulle “nostre”- il servizio pubblico – facendo apparire un po’ meno “abili e arruolabili” giornalisti e testate. Anche il patto del Nazareno ha contribuito a rompere gli schemi fissi dell’informazione e a confondere le acque.

Ma anche senza il ricorso ai dettami della par condicio, molto c’è da dire sulla campagna elettorale appena conclusa e sulla fase che l’ha preceduta. Se fino al settembre 2014 l’intero spazio è stato occupato da Renzi, gli ultimi mesi ci hanno regalato una nuova star: l’assai poco “felpato” Matteo Salvini, ritenuto l’unico in grado di contrastare un premier che cominciava a stancare e che per di più risultava “antipatico” ai giornalisti (anche a quelli che lo adulano) per il semplice fatto di bypassare la mediazione professionale.

Salvini, al contrario, ha bisogno di qualcuno che aiuti ad articolare frasi e concetti slegati tra di loro e quasi sempre coincidenti con vuoti slogan. Il capo della rinnovata Lega sarebbe inoltre accreditato quale “portatore in corpore vivo” di un punto e mezzo di share, la qualcosa – unità alla sua disponibilità 24 hours in a day – lo ha imposto a destra e a manca, all’alba e al tramonto. Mai come nel caso della Lega e di Salvini si deve parlare di un soggetto politico “inventato” dalla tv.

Ciò non significa che la Lega, oltre che il video, non “buchi” la coscienza degli strati di popolazione più in difficoltà. Il risultato è che la campagna elettorale appena conclusa è vissuta proprio sulle polemiche sull’immigrazione e sui rom: Salvini a correre, gli altri a inseguire. Chi scrive da 6 anni analizza quotidianamente i Tg di prima serata (Osservatorio Tg, albertobaldazzi.com) e recentemente ha segnalato più volte l’egemonia salviniana su alcune redazioni Mediaset, soprattutto Tg4, addirittura “contro” gli input del gruppo (Confalonieri, Pier Silvio). L’incitamento all’odio razziale è così stato pienamente sdoganato, fino a diventare presenza quotidiana, anche a prescindere dalle “sublimi” dichiarazioni di Salvini.

Dicevamo di un Berlusconi defilato per i noti motivi e gli anni che passano. Negli ultimi 15 giorni però il Vecchio Campione è sceso nuovamente in campo per corroborare il partitino proprietario, a rischio 10%. La rimpatriata è stata toccante ma, soprattutto, ci ha fatto fare un tuffo nel recente passato: quello del pieno e spudorato conflitto d’interessi. I Tg Mediaset sono stati richiamati in trincea è hanno risposto come un sol uomo: video messaggi, video messaggi camuffati da interviste, interviste “finte esclusive” nei titoli; e quando mancava Silvio, quantità industriali di spazio al suo profeta Giovanni Toti, ex collega e direttore di Tg4 e Studio Aperto. C’è qualcosa di nuovo oggi nel video, anzi d’antico…