Per l’ennesima volta Silvio e Angelino si ritrovano a sera, da soli, per un colloquio che dovrebbe essere risolutivo e non lo sarà. Cercano una via d’uscita per evitare la rottura al cn di sabato prossimo, e forse la troveranno. Ma solo al prezzo di glissare sul punto chiave, il nodo della decadenza che arriverà al pettine meno di dieci giorni dopo. Ma entrambi, ormai, vivono alla giornata, e per uscirne uniti domani (dato e non concesso che ci riescano) l’unica è dimenticare quel che dovrà per forza succedere dopodomani.
Berlusconi non vuole rompere, però non è neppure disposto a ingoiare la decadenza. Alfano non vuole rompere, però a far cadere il governo dopo la decadenza non ci pensa per niente. I «lealisti» vogliono rompere e lo nascondono appena. Una parte sostanziosa delle colombe vuole rompere, e nemmeno da quella parte si fanno grandi sforzi per camuffare le proprie intenzioni.

[do action=”quote” autore=”Raffaele Fitto”]«Alfano vuole fare la festa a Berlusconi ma il tempo delle ipocrisie è finito»[/do]

In questo quadro, segnato dall’ambiguità e dal tentativo di non guardare in faccia una realtà inconciliabile, spunta l’ennesimo tentativo di mediazione, che è poi identico a quello che andava per la maggiore martedì, era naufragato nella notte, è stato ripescato per i capelli ieri mattina. Consiglio nazionale non più a oratore unico ma con tanto di dibattito, però senza sfiorare i nodi conflittuali davvero irresolubili: gli organigrammi e la reazione al voto sulla decadenza. Si dovrebbe parlare solo di legge di stabilità, e fissare paletti rigidissimi, quattro o cinque punti (addirittura) sui quali tenere duro. Quali non si sa, ma di certo del pacchetto faranno parte la casa e le spiagge da mettere in vendita.
Che Berlusconi si fosse svegliato deciso a cercare la pace i falchi lo hanno scoperto nel pranzo di palazzo Grazioli, e stavolta sono stati loro ad andare giù duri. Sino alla minaccia: presidente, se fai un accordo alle condizioni di Alfano o comunque ambiguo il problema interno diventeremo noi. Per non lasciare dubbi, Fitto, dopo il dessert, si produce in una sparata senza precedenti: «Il tempo delle ipocrisie è finito», «Alfano vuole fare la festa a Berlusconi», «E’ il momento di dire con assoluta chiarezza che noi non accettiamo questo approccio», intendendo il tuonare contro la decadenza e contro la legge di stabilità ma senza volerne trarre le debite e definitive conseguenze.
Sull’altra sponda le cose non sono messe troppo diversamente. La pattuglia di chi vuole «chiarezza», che in questo caso equivale a rottura, s’infoltisce. Da Cicchitto a Sacconi a Quagliariello, che lo dice chiaramente: «Per stare insieme bisogna avere la stessa idea di Paese». Ma Alfano la pensa diversamente. Anche lui, come Berlusconi vuole evitare quanto più a lungo possibile l’inevitabile e apre la riunione dei «governisti», ribadendo: «La rottura non la cerchiamo noi ma gli altri, che aprono il fuoco ogni volta che Berlusconi cala un ponte. però gli dirò con chiarezza che noi non faremo la crisi nemmeno dopo la sua decadenza».
Come se non bastasse, il mandato che i governisti danno al capocorrente in vista del colloquio della notte non è in bianco. Se vuole evitare la rottura deve ottenere garanzie reali sullo svolgimento del dibattito di sabato e sul futuro democratico del partito. Su queste basi, ogni eventuale accordo non può che essere bugiardo e lo si scoprirà presto.
Forse per ingenuità, forse con l’intento preciso di evitare l’ennesimo gioco al rinvio, Cicchitto ha infatti rivendicato ieri il merito (soprattutto del capogruppo al Senato Schifani) di aver fatto melina rinviando di settimane e mesi il voto sulla decadenza. Parole che non potevano non provocare l’immediato irrigidimento del Pd, con tanto di assicurazione che il 27 novembre quel sospirato voto ci sarà davvero. Tutto è possibile, ma a questo punto le chance di rinviare ancora l’appuntamento fatale con il voto dell’aula sono davvero esigue. E qualsiasi spettacolo venga allestito sabato al cn, sarà solo quello il momento della verità.