Il progetto è pronto, la planimetria anche: una sala stagionatura, quelle per la gocciolatura e l’affumicatura, locali caldaia, celle frigorifere. E un’idea: unire due battaglie sarde in una soluzione. Da una parte la richiesta di riconvertire la fabbrica Rwm di Domusnovas e Iglesias, produttrice di bombe e munizioni per conto della casa madre tedesca Rheinmetall, dall’altra la lotta dei pastori contro prezzi di vendita così bassi da affossare i ricavi.

L’idea è di Sardegna Pulita e Donne Ambiente Sardegna, associazioni cagliaritane impegnate da anni a denunciare l’esportazione di armi a paesi coinvolti in conflitti armati (a partire dall’Arabia saudita che bombarda dal 2015 lo Yemen e dalla Turchia, occupante illegittima della Siria del Nord) in violazione della legge 185/90.

Il progetto, ci dicono, sarà portato nelle sedi romane dei ministeri degli Esteri e dello Sviluppo economico il prossimo 28 novembre. «Proposta concreta per la piattaforma di convergenza Centro Caseario Regionale al posto della Rmw», questo il titolo del progetto sviluppato in collaborazione con la Facoltà di Agraria dell’Università di Sassari e che punta all’utilizzo del Recovery Fund.

«Quando gli allevatori si muovono, i media nazionali ne parlano come evento folkloristico, senza guardare al dramma economico – ci spiega Ennio Cabiddu, agronomo e tra i fondatori di Sardegna Pulita – I pastori sardi sono costretti a compiere gesti eclatanti, come lo sversamento del latte, perché la nostra regione ha legato il destino del latte ovino a un sottoprodotto del pecorino romano. Un prodotto che qui non si consuma. Eppure da anni i caseifici industriali sardi lo producono perché lo esportano negli Stati uniti».

La protesta dei pastori a Sant’Antioco, Cagliari, nel febbraio 2019 (foto Ansa/Fabio Murru)

 

Una miniera d’oro, la chiama Cabiddu, finché la Ue ha riconosciuto un contributo alle aziende per ogni quintale di pecorino esportato. Poi è arrivato il Wto, che su spinta Usa, ha accusato l’Europa di concorrenza sleale: «Senza quel contributo, gli industriali hanno recuperato le perdite abbassando il prezzo del latte che qui, in Sardegna, è legato al prezzo del pecorino romano, una monocultura che condiziona l’intera filiera del latte ovino».

Ed è qui che entra in campo la Rwm e una riconversione che salvi posti di lavoro, ne crei di nuovi e riconosca il giusto prezzo agli allevatori e a 3,5 milioni di capi ovini e mezzo milione di capi caprini: «La nostra è un proposta provocatoria – continua Cabiddu – Un impianto pilota lattiero-caseario dove si producono altri tipi di formaggio consumati in Sardegna. Un caseificio che valorizzi i formaggi tipici e di pregio e che dimostri che il prezzo del latte può aumentare se non è più legato al pecorino».

 

Un caseificio che valorizzi i formaggi tipici e di pregio e che dimostri che il prezzo del latte può aumentare se non è più legato al pecorino (Ennio Cabiddu)

 

«È ovvio che alla Rwm non interessa, per questo serve un’azione politica che liberi anche gli operai. Il sito verrebbe assorbito dalla regione Sardegna. Dopotutto quel sito era già patrimonio regionale, era una “polveriera” dove si estraeva il minerale, poi convertito dal civile al bellico».

Gli operai oggi impiegati alla Rwm, dopo un corso di formazione, verrebbero assunti dal caseificio, superando anche le rimostranze dei sindacati locali (in opposizione alle linee guida della Cgil nazionale) contrari alla riconversione per timore di un’emorragia di posti di lavoro. «I posti di lavoro effettivi della Rwm sono 95, e non 300-400 come dichiarato dall’azienda. Gli altri sono sostituzione ferie o precari senza un contratto fisso – spiega al manifesto Angelo Cremone di Sardegna Pulita – Eppure l’azienda parla di crisi».

Lo scorso agosto la Rwm ha messo in cassa integrazione 90 lavoratori e non ha rinnovato il contratto di altri 80 operai, a seguito – dice – del blocco di 18 mesi (in scadenza il prossimo gennaio) stabilito dal governo Conte 1 nel giugno 2019 che con una mozione sospendeva l’export di armi verso Riyadh.

Nonostante la presunta crisi, l’azienda procede con l’ampliamento della fabbrica. Come è possibile? Lo spiega il bilancio annuale: nel 2019 la Rwm Italia ha registrato ricavi per 114.481193 euro, contro i 102.641.862 del 2018. Un +11 milioni e 839mila. «Hanno anche previsto 40 milioni di spese per aumentare il campo prove e ottenuto l’ok dai comuni di Domusnovas e di Iglesias».

Ricavi che, come scrivevano su queste pagine Giorgio Beretta e Francesco Vignarca il 30 giugno scorso, arrivano dal Progetto QA208. «Nel bilancio di esercizio della Rwm del 2019 – ci spiega Beretta, analista di Opal – si parla di due commesse acquisite nel 2018 per la fornitura di colpi di artiglieria e anticarro al Qatar, alcuni prodotti in Germania dalla casa madre e alcuni in Sudafrica. Intermediazione e gestione logistica, scrive Rwm, il QA208 “non genera attività produttiva negli stabilimenti della Rwm Italia”. Non è vero: invece di produrre le bombe per l’Arabia saudita, la Rwm ha fatto lavorazioni per 57 milioni di euro per il Qatar. L’azienda lamentava la sospensione delle commesse ai sauditi, di fatto stava lavorando a pieno ritmo per il Qatar».

«Abbiamo scoperto che ci sono due autorizzazioni, una da 230,8 milioni di euro rilasciata dal ministero degli Esteri in forma normale (produzioni in Italia esportate in un paese che sappiamo essere il Qatar); un’altra da 83 milioni autorizzata estero su estero (esportazione richiesta all’Italia per produzioni fatte altrove, in questo caso in Germania, e poi esportate in Qatar, senza che ci sia movimentazione specifica dall’Italia). In sintesi: quell’autorizzazione da 230 milioni di euro che già nel 2019 aveva visto un anticipo di pagamento di 57 milioni alla Rwm la ritroviamo effettuata proprio nel primo semestre del 2020, diretta al Qatar».

E poi c’è la Turchia impegnata nel Rojava curdo: «La novità – aggiunge Beretta – è un’autorizzazione del 2019 da 15 milioni e 490mila euro rilasciata a Rwm Italia, destinatario la Turchia. Nei 18 mesi di blocco la Rwm non è stata con le mani in mano ma ha prodotto ed esportato armi anche in Turchia». Questo nonostante il ministro di Maio, nell’ottobre 2019, parlasse di una revisione dei contratti in essere verso la Turchia a seguito dell’invasione della Siria del Nord.

E l’Arabia saudita? Il blocco è “aggirato”: «Abbiamo un’autorizzazione record di 411 milioni nel 2016, commessa al momento pagata e inviata per metà – conclude Beretta – Forse l’autorizzazione è stata chiesta più grande di quanto necessario all’epoca proprio nel caso di embarghi futuri. Si era coperti per un po’ di tempo senza dover chiedere nuove autorizzazioni. In conclusione Rwm ha nel portafoglio d’ordini 230 milioni di bombe verso il Qatar di cui 57 già esportati e 411 verso Riyadh di cui almeno 200 milioni già esportati».

«E c’è di più. Nel bilancio la Rwm scrive che le restrizioni decise dal governo impediscono l’esecuzione di contratti pari a 330 milioni di euro. Se consideriamo che circa 230 milioni riguardano Arabia saudita ed Emirati, significa che potrebbe avere contratti in corso per forniture alla Turchia per oltre 100 milioni di euro».

 

Rwm ha nel portafoglio d’ordini 230 milioni di bombe verso il Qatar di cui 57 già esportati e 411 verso Riyadh di cui almeno 200 milioni già esportati. E 100 milioni per la Turchia (Giorgio Beretta)

 

Al posto delle bombe, il formaggio è la sfida dei pacifisti: «C’è l’occasione del Recovery Fund per un territorio che ne ha bisogno – aggiunge Cremone – Nell’agroalimentare la Sardegna importa l’85% di quel che mangia, potremmo investire in quel latte che viene buttato o comprato a quattro soldi. La vera vocazione sarda va valorizzata, Domusnovas è il secondo centro in Sardegna per numero di caprini e ovini, è una conca meravigliosa, tra le montagne. Non succede perché le bombe sono un bell’affare. Ma se produci bombe, poi ti devi inventare le guerre».