È stata battezzata «variante IHU», ma stavolta non è una lettera greca: sono le iniziali del policlinico universitario di Marsiglia dove è stata identificata per la prima volta il 9 dicembre. È nota anche come B.1.640.2 ed è un nuovo ceppo del coronavirus. Secondo le prime analisi, pubblicate nei giorni scorsi sull’archivio MedrXiv, mostra 46 mutazioni e 37 «delezioni» (basi nucleotidiche assenti nella variante) rispetto al ceppo originale. 14 mutazioni e 9 delezioni sono sulla proteina Spike che riveste il coronavirus.

Sono quelle studiate in maggior dettaglio, perché la Spike è utilizzata dal virus per «agganciare» le cellule da infettare e ad essa si legano i vaccini e gli anticorpi per bloccare l’infezione. Come dimostra la variante Omicron il gran numero di mutazioni aumenta la possibilità che il virus acquisisca caratteristiche diverse da quelle note finora, come una maggiore o minore trasmissibilità, virulenza o capacità di aggirare i vaccini.

Nuove varianti virali vengono scoperte a ritmo quotidiano, ma gli esperti per ora non sono preoccupati. La nuova variante è molto simile a un’altra già identificata a settembre 2021 nella Repubblica del Congo (la B.1.640) e dichiarata «variante da monitorare» dagli esperti dell’Oms. Da allora non è sembrata diffondersi granché, ha spiegato il responsabile per la risposta al Covid dell’Oms Abdi Mahmud. La nuova variante è stata collegata a un focolaio che ha riguardato una ventina di persone nel sud della Francia. Il contagio è partito da un cittadino appena rientrato dal Camerun, paese confinante con la Repubblica del Congo dove si ritiene che abbia contratto il virus.