Nuovo cemento per nuovi stadi: e non solo. Negozi, cinema, palazzi. Il governo ha pronto un emendamento alla legge di stabilità, da presentare in Commissione bilancio del Senato, per lanciare velocizzare la costruzione di nuovi stadi, concepiti in modo diverso rispetto al passato: ovvero, come chiedono da tempo le società, sempre aperti e affiancati da altre attività, in modo da fidelizzare il tifoso-cliente, già attratto in loco dalla squadra del cuore. La proposta, di cui avevano parlato nei giorni scorsi sia il premier Enrico Letta che il suo vice, Angelino Alfano, ha allarmato gli ambientalisti, tanto più in questa fase in cui è ancora calda la tragedia sarda.
È stato Roberto Della Seta, di Green Italia, a denunciare ieri il tentativo del governo di dare nuovo spazio all’invasione immobiliare: «Proprio nelle ore in cui si contano le vittime dell’ennesima alluvione annunciata nell’Italia consumata dal cemento – afferma Della Seta – il governo Letta sta depositando un emendamento alla Legge di stabilità che con il pretesto di realizzare nuovi stadi e impianti sportivi consentirebbe di realizzare interi quartieri scavalcando sia le previsioni urbanistiche, sia le norme a tutela dell’ambiente e dei beni culturali».
Roberto Morassut (Pd) chiede il ritiro dell’emendamento, «perché genererà speculazione edilizia: si tratterà di edifici anche residenziali, senza limiti di collocazione sul territorio, quindi non solo di attività commerciali nei pressi degli impianti: è una spinta al consumo di nuovo suolo senza nessuna visione organica di sviluppo equilibrato».
La proposta del governo, si legge nell’emendamento, vuole favorire «la realizzazione di nuovi impianti sportivi ovvero l’ammodernamento di quelli già esistenti con particolare riguardo alla sicurezza degli impianti sportivi e degli spettatori, attraverso la semplificazione delle procedure amministrative e la previsione di modalità innovative di finanziamento».
L’intervento «può prevedere uno o più impianti sportivi, nonché insediamenti edilizi o interventi urbanistici entrambi di qualunque ambito o destinazione, anche non contigui agli impianti sportivi». Cioè, appunto: palazzi, negozi, ristoranti, cinema.
Per «velocizzare» si individua una corsia di precedenza per le autorizzazioni, con la possibilità di un intervento diretto – addirittura – di Palazzo Chigi. L’autorizzazione parte dal Comune (in 120 giorni), che individua l’«interesse pubblico» del progetto; se sono necessarie varianti urbanistiche o valutazioni di impatto ambientale si pronuncia anche la Regione (in 60 giorni).
Ma «in caso di inerzia o di superamento del termine» o per «espresso dissenso» di un’amministrazione preposta «alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico, della salute o della pubblica incolumità», per gli impianti con oltre 4 mila posti al coperto e 20 mila allo scoperto, «il presidente del consiglio, su istanza del soggetto proponente, assegna all’ente interessato 30 giorni per adottare i provvedimenti necessari».
Decorso «inutilmente» questo termine è il Consiglio dei ministri stesso ad adottare «i provvedimenti necessari» entro 60 giorni. Per gli impianti piccoli, invece, il Cdm nomina di concerto con la Regione un commissario.
Tradotto dal burocratese: se i vari enti preposti a dare le autorizzazioni, non dovessero darla, interviene d’autorità il presidente del consiglio, che prende in mano la situazione e di fatto impone un veloce ok ai costruttori.
Si sono trovate anche nuove risorse indirizzate all’uopo: il Fondo di garanzia destinato agli impianti sportivi è integrato con 10 milioni di euro per il 2014, 15 per il 2015 e 20 milioni per il 2016.