In tempi in cui la decostruzione è considerata un metodo di conoscenza della complessità umana, in cui le nette distinzioni non sono certamente adatte a descrivere le imprevedibilità dell’essere, in cui le dicotomie non sono ammesse perché troppo rigide, proprio in quest’epoca di labirinti dell’essere, siamo cascati in una dimensione rigidamente cartesiana del cogito ergo sum, di netta e ineludibile separazione tra corpo e mente. I nostri bambini possono abitare con la mente spazi inesplorati, inediti, sorprendenti, viaggiare, andare lontano, scoprire luoghi impensabili, ma i corpi sono chiusi tra le quattro mura.

NULLA DI NUOVO, a dire il vero. Abbiamo riflettuto sulle restrizioni dei corpi negli ambienti scolastici? Devono scontrarsi con l’impossibilità di creare i propri luoghi; si trovano in un ambiente già dato, istituito a cui si devono adeguare; prendono posto nella loro sedia, dietro al banco, di fronte alla prof; non si schiodano da là a meno che non porgano la fatidica domanda… «posso andare in bagno?», sperando in un compassionevole segno di assenso.
Questa condizione ci riporta al tema dell’abitare. Che relazioni esistono tra i corpi e l’ambiente che li ospita? Frammenti che compongono una questione alla base dell’ecologia: l’abitare vuol dire adattarsi all’ambiente o immaginare, ideare, inventare, rappresentare?

ABBIAMO MAI PENSATO, allora, al perché gli studenti, i loro corpi sono attratti dagli ambienti virtuali più che dai cosiddetti reali? Perché ne hanno addirittura bisogno? E noi a corrergli dietro, ad inciampare su noi stessi, implorando disperatamente e goffamente di cederci una volta per tutte quello smartphone?
Dopo tanta «didattica a distanza», quando torneremo vicini, nelle nostre classi, gli uni accanto agli altri, gomito a gomito, ci troveremo di fronte a una nuova sfida, quella della «didattica a vicinanza». L’una non può sostituire l’altra, ma deve integrarla, riprogettarla perché permette di abitare luoghi imponderabili, inattesi. Il virtuale non è altro che quella parte della realtà capace di reinventarla e renderla condizionale, ipotizzabile, latente, creabile. Educazione non va confusa con l’adeguarsi, allinearsi a una realtà preconfezionata in un kit di competenze prestabilite da percorrere come in un «gioco dell’oca», ma ricercata nell’inedito, nelle infinite possibilità dell’umano.