Arrivato alla stazione di Pisa, viene a prendermi Fausto. Ci riconosciamo subito come succede spesso – e misteriosamente – tra compagni. Mentre ci rechiamo all’ex colorificio liberato, mi parla del convegno, dell’occupazione, delle attività che si svolgono nell’area dismessa. Lo fa senza ostentare fanatismo, con un tono quasi professionale da cui traspare però passione e speranza. Ero già stato a Pisa anni prima sempre invitato da Serena, quando ancora l’occupazione riguardava Rebeldìa. Dal 20 ottobre quel gruppo ha invece liberato, e occupato, una ex fabbrica, un ex colorificio di 14 metri metri quadrati, non distante dalla Piazza dei Miracoli. Fausto mi parla del convegno: due giorni di discussione con architetti e urbanisti sul tema delle aree dismesse e di come utilizzarle per rivitalizzare la città di Pisa. Nel programma è ben messo in evidenza come si voglia superare il concetto di “valorizzazione” immobiliare e dell’irremovibilità del costruito nell’interesse della collettività: basta consumare suolo e risorse.
Fausto ci tiene a farmi visitare l’ex colorificio, mostrarmi i lavori e le iniziative già allestite. Laboratori di aggiustaggio e falegnameria, di ceramiche, una ciclofficina di biciclette, sala del teatro. In una delle grandi sale c’è anche un trapezio per equilibristi; in un’altra sono state realizzate pareti artificiali per l’allenamento alle scalate. Fanno parte della comitiva esplorativa due altri compagni che non conosco e che poi si presentano come architetti che lavorano su altre aree di Pisa, come lo stadio di calcio ormai in disuso. Fausto ci fa vedere altre sale vuote in attesa di decidere che iniziative potrebbero accogliere. Dovunque ci sono persone affaccendate in qualche lavoro: la fabbrica funziona di nuovo, ma per altri scopi e per produrre altre merci, diverse da quelle fordiste: adesso si producono beni comuni, relazioni, convivialità; si coltivano speranze. A me viene in mente quel vecchio film di Truffaut, Fahrenheit 451, ambientato in un futuro opprimente dove una società despotica e autoritaria ha messo al bando (anzi al rogo) i libri diventati merce clandestina e antisociale. Il corpo dei vigili urbani è continuamente al lavoro per bruciare i libri nascosti da abitanti sovversivi. Così si infoltisce la comunità – il popolo-libro – di coloro che, perseguitati e ricercati dalla polizia, trovano rifugio nelle foreste. Ognuno di loro, per salvaguardare il patrimonio di sapere dei libri, ne impara uno a memoria. Ogni uomo diventa un libro vivente, dal Pinocchio di Collodi al David Copperfield di Dickens.
Quando inizia il dibattito, mi sento inadeguato. Mi sembra che tutto quello che avrei da dire sul tema stabilito dal convegno, “Cartografia del desiderio. Per la creazione di una nuova Polis”, loro lo stanno già tentando di realizzare. Stanno progettando anticipazioni di un futuro di città. I crateri che emergono dalle macerie della città fordista, si riempiono di iniziative sociali. Serena fa il medico all’ospedale, è una delle principali protagoniste dell’occupazione. Qui, dentro l’ex fabbrica fordista, mi sento finalmente a casa, sento che si sta tentando di realizzare qualcosa di importante. Fuori il mondo impazzito che magari in quest’area vorrebbe realizzare case, centri commerciali, multisale e chissà quali e quante altre diavolerie con la scusa di ripianare i debiti comunali, valorizzare le aree, fare profitti. Mi chiedo se ce la faranno Serena, Fausto e tutti gli altri a tenere, a resistere e anzi a trovare una sponda nell’amministrazione. Non sono isolati, si sta tentando di attivare una rete che colleghi queste esperienze che proliferano sempre di più in tante città italiane. Il Teatro Valle Occupato, il cinema Palazzo a Roma sono ormai riferimenti nazionali che producono speranze e aspettative, contagiano. Faccio fatica, con la mia vecchia educazione al posto fisso, a convincermi che qui si sprigiona un’energia nuova, che si tenta di ripristinare vecchi mestieri e sapienze andate in malora con la mitologia dello sviluppo.
Dico a Serena che ho un cagnolino che mi aspetta a casa, non posso restare oltre le otto di sera, c’è l’ultimo treno che ferma a Termini. Lo dico per darmi una ragione per non rimanere, perché questo invece desidererei fare. Fermarmi qui con loro non tanto per continuare a parlare, ma per trovare un mio posto dove materialmente partecipare alla costruzione di questo futuro ancora incerto e pieno di aspettative e speranze. La festa deve ancora iniziare ma Serena e Fausto mi fanno preparare un piatto di pasta e un dolce. Ecco, sto a casa, in una grande famiglia, accolto come un vecchio amico, magari uno zio. Peccato non aver portato il mio cagnolino. Insieme potevamo restare.