Continua la crescita dei casi in Italia, ma a un ritmo più lento di qualche giorno fa. Con i 5.905 casi positivi di ieri, l’aumento settimanale si attesta al 15%, meglio del +33% registrato nella settimana precedente. Rimane stabile il numero dei decessi (una quarantina al giorno in media, da inizio ottobre) almeno per il momento. Nel suo relativo peggioramento, la situazione italiana rimane migliore rispetto a quella dei vicini.

Preoccupa la Germania, dove i casi ieri hanno fatto segnare il dato più alto dall’inizio della pandemia, con quasi 34 mila nuovi positivi in 24 ore. Turingia e Sassonia sono le regioni attualmente più colpite, con un incidenza settimanale di oltre trecento nuovi casi per centomila abitanti (oltre il doppio della media nazionale). In tutto il paese si contano in media un centinaio di decessi al giorno: un numero non elevatissimo in assoluto, ma quasi raddoppiato nell’ultima settimana: ieri sono stati 165. Nelle terapie intensive tedesche (molto più capienti delle nostre) ci sono 19 persone per milione di abitanti, contro i 5,6 italiani. Ma secondo Klaus Holetschek, ministro della salute bavarese (un’altra delle aree più interessate dal virus), «le strutture sanitarie sono al limite». In un vertice a Lindau,

i lander hanno chiesto al ministro della sanità Jens Spahn un’accelerazione sui richiami vaccinali. Anche Berlino è alle prese con la scadenza dello stato di emergenza, prevista per il 25 novembre. Socialdemocratici, verdi e liberali, impegnati nello stilare il nuovo patto di governo, hanno già annunciato che non sarà rinnovato. Ma il governo uscente, che al momento della scadenza potrebbe essere ancora in carica, è favorevole a prorogarlo.

A GUARDARE LA MAPPA dell’European Center for Disease Prevention and Control (Ecdc), il focolaio tedesco appare come una propaggine di una più ampia ondata epidemica che sta investendo l’Europa orientale e che per ora risparmia il sud-ovest del continente, e in particolare Italia, Francia, Spagna e Portogallo (che guida la classifica delle vaccinazioni in Europa con l’86,28%).

I dati di ieri riportano 40mila nuovi casi in Russia e 27mila in Ucraina, con 1.195 e 699 vittime rispettivamente. In proporzione alla popolazione, i paesi con il maggior numero di nuovi positivi al mondo sono oggi distribuiti tra i paesi dei Balcani e il Baltico a partire da Slovenia, Croazia e Estonia. Questo dato spiega – ben più delle manifestazioni contro il Green Pass – perché la regione italiana con la più alta incidenza sia proprio il Friuli-Venezia Giulia.

SECONDO I DATI a disposizione di Hans Kluge, direttore della sezione europea dell’Oms, in Europa e Asia centrale sono localizzati il 59% dei casi e il 48% dei decessi causati dalla pandemia nell’ultima settimana. «L’Europa è tornata l’epicentro della pandemia, proprio come un anno fa» ha dichiarato ieri. «La differenza è che oggi ne sappiamo di più e potremmo fare di più». Di qui a febbraio del prossimo anno – prevedono «modelli affidabili» – potremmo dover registrare un altro mezzo milione di vittime in Europa e Asia Centrale. E i sistemi sanitari potrebbero entrare in crisi in 43 paesi dell’area.

Kluge ha fatto appello a non fare affidamento solo sui vaccini. «Sono la nostra arma più potente, ma solo se usata insieme ad altri strumenti. Le previsioni più accreditate mostrano che se si raggiungesse il 95% di utilizzo delle mascherine in Europa e Asia centrale – ha spiegato – di quel mezzo milione di vite potremmo salvarne 188 mila entro febbraio».

IN TANTI DI QUESTI PAESI, molte misure di prevenzione sono state rilassate nelle scorse settimane, anche se la mascherina è tuttora obbligatoria al chiuso in diversi paesi, a partire dalla Germania. Ma a fare la differenza è soprattutto il tasso di vaccinazione. Anche in Germania, il tasso di immunizzazione è inferiore alla media europea: solo il 68% dei tedeschi ha ricevuto almeno una dose, contro il 77% degli italiani e l’81% degli spagnoli. In tutta l’Unione Europea le vaccinazioni hanno rallentato fino quasi a fermarsi. In Italia come in Germania, oggi si somministrano un quinto delle dosi rispetto ai massimi toccati all’inizio di giugno (terze dosi comprese) perché le campagne si scontrano con lo zoccolo duro dell’esitazione vaccinale, che ha dimensioni diverse da un paese all’altro e tocca livelli record nell’ex-Jugoslavia. Ha rinunciato al vaccino il 43% degli sloveni, il 53% dei croati e il 54% dei serbi. E ancora più a est va pure peggio, con solo il 39% dei russi e il 25% degli ucraini vaccinati con almeno una dose.