«Con la morte di Fidel finisce una lunga e importante fase della storia di Cuba, sono certo che ora si aprirà un nuovo proceso che porterà a grandi cambiamenti nel prossimo futuro». Non ha dubbi Enrique López Oliva, professore di Storia delle religioni e analista politico, che questa nuova fase dovrà portare a «un’unità nazionale, nella quale alla vecchia generazione, quella che ha partecipato alla Rivoluzione vittoriosa nel 1959, si affiancheranno giovani politici, provenienti dal partito comunista ma anche dalla società civile, dunque dalle fila cattoliche, dalla componente afrocubana della società e anche da una parte dell’emigrazione, in gran parte stabilitasi in Florida». Di una tale unità nazionale, prosegue, «vi è oggi un gran bisogno per stare al passo con la globalizzazione e anche con la nuova presidenza Usa».

«Fidel l’ho conosciuto personalmente, anche se non sono mai stato iscritto al Pcc. Ma soprattutto ne conosco la mentalità, avendo frequentato la stessa scuola dei gesuiti all’Avana. Come tutti gli uomini ha avuto fasi positive e negative, specie quando ha accentrato su di se tutto il potere, ma non vi è alcun dubbio che vi è stato un prima e un dopo la vittoria della Rivoluzione. Fidel ha trasformato un paese che era notoriamente, scusate l’espressione, un casino a dispozione degli Stati uniti, dove gli yankee venivano a bere e giocare d’azzardo e andavano a prostitute e dove le grandi compagnie nordamericane, come la United Fruit Company, avevano imposto la monocultura. C’era una grande frattura sociale nell’isola, con una grande maggioranza di analfabeti. Con Fidel è diventata una, seppur piccola, potenza ideologica, politica e anche culturale. Nel bene e nel male ha saputo favorire l’integrazione dell’America latina, per anni Cuba è stata centrale anche per l’attività dei Paesi non allineati, la cosidetta Tricontinentale».

Ritiene che la Chiesa possa svolgere un ruolo importante in questa fase?

Certamente. Non dubito che ai funerali di Fidel verrà una delegazione di alto livello del Vaticano, se non lo stesso Francesco, primo papa latinoamericano. E gesuita, come i maestri di Fidel, il quale, come ebbe a scrivere la rivista dei gesuiti cileni fu «il primo politico latinoamericano formato dai gesuiti che ha fatto la prima rivoluzione socialista in America latina». Anche Francesco è impegnato in un processo di riforma e rinnovamento della Chiesa cattolica, il suo è un messaggio molto sociale, diretto e compreso dai giovani. E cresce l’interesse per la religione a Cuba anche per effetto di Francesco. Parliamo dei giovani. A Cuba sono oggetto di molte critiche, in generale perché non politicizzati…

La nuova generazione, è vero, ha un’altra formazione e soprattutto vive alla giornata. Noi, la generazione della rivoluzione, eravamo sempre rivolti al futuro, sognatori. Questi giovani vivono legati al momento, per sfruttarlo. Al suono del regaetton più che del son. Ma non vi è dubbio che avranno un ruolo. La storia insegna che le circostanze creano i leader. Del resto lo stesso Fidel all’inizio era quasi uno sconosciuto, di poco peso nelle organizzazioni giovanili universitarie e nello stesso partito nel quale militava. Però si è trasformato in uno dei giganti del Novecento. Non ho dubbi che sarà la nuova generazione a essere protagonista. Anche se per ora non saprei indicare un nome.

Come reagiscono alla morte di Fidel?

Vi è una grande emozione, perché vi sono almeno due generazioni che sono cresciute nella Rivoluzione e con la figura di Fidel come una sorta di grande padre (senza nessun riferimento però a Stalin, mi raccomando). Credo abbia fatto loro impressione quando all’ultimo congresso del Pc, Fidel ha letto un intervento nel quale si metteva al lato, si ritirava, e affidava proprio ai giovani il compito di continuare la Rivoluzione. Ora che se ne è andato, devono cominciare a camminare con le loro gambe.

Quanto conta l’incognita Trump?

Molto, è sicuro. Ma Trump, esponente di una destra dura e fascistizzante, è anche un uomo d’affari. Credo che la gestione pratica del potere lo porterà a cambiare il suo discorso. Non vi è dubbio, però, che i primi segnali nella formazione della sua squadra di governo non sono incoraggianti per Cuba.