A metà del famoso saggio La questione della tecnica (1953) Martin Heidegger riporta un noto verso del poeta tedesco Friedrich Hölderlin: «lì dove c’è il pericolo cresce anche ciò che salva». Semplificando, la tesi del controverso filosofo tedesco, intrisa di anti-umanesimo, è che la tecnica sia non tanto o non solo il destino dell’uomo occidentale; quanto il dispositivo tramite il quale si disvelano in modo radicale quelle potenze della natura e dell’essere che gli umani contemplano, attivano e custodiscono senza esserne mai i padroni né gli artefici.

QUESTA ROTTURA con l’antropocentrismo restituisce una visione ambivalente della tecnica: da una parte essa è stata ridotta dalla tradizione antropocentrica occidentale a puro strumento. Una visione che fa del mondo stesso e degli esseri umani puri oggetti, calcolabili e misurabili, e dunque agiti da un incombente tecnocrazia (la tecnica come pericolo). Dall’altra, gli esseri umani possono recuperare la loro libertà divenendo consapevoli della vera essenza della tecnica, accettando e custodendo quelle forze.
Il libro di Massimo Di Felice Net-attivismo (edizioni Estemporanee, pp. 228, euro 20) riporta l’analisi sull’impatto delle tecnologie digitali all’interno di questa originaria ispirazione heideggeriana, contaminandola sia con il punto di vista indigeno, non-occidentale e post-coloniale dell’America Latina, sia con le acquisizioni della teoria post-strutturalista dei media e della scienza, che trovano rispettivamente in Marshall McLuhan e in Bruno Latour i massimi esponenti. Per l’autore, le tecnologie digitali, al pari degli altri media, non sono solo uno strumento per scambiare messaggi e contenuti. Ma un vero e proprio nuovo ambiente che ridefinisce sia il modo di pensare che di agire degli esseri umani: queste tecnologie creano una vera e propria nuova ecologia dell’azione.

DA QUESTA PROSPETTIVA, «net-attivismo» non è solo l’uso a fini politici delle tecnologie digitali ma, al limite, ogni azione sociale e ogni pensiero dell’uomo di oggi, la cui identità e il cui posto nel mondo passa per l’incorporazione nelle Reti. L’ecologia digitale fa piazza pulita di tutta la tradizione antropocentrica dell’occidente: l’idea di società, con il suo radicamento territoriale; le scienze sociali, con la dissoluzione del loro oggetto; la politica con le sue gerarchie e le sue forme plasmate dallo Stato-nazione.
Il risultato più originale del lavoro di Di Felice sta nell’aver mostrato il punto di vista del sud del mondo, delle popolazioni indigene del Brasile e, in generale, del rapporto che si va costruendo in America Latina tra natura e tecnologia, all’interno di questa lettura della tecnica digitale. Rifiutando la teoria dell’antropocene come lettura della relazione uomo-natura nel mondo contemporaneo, Di Felice parte dalla teoria di Gaia, per cui la Terra è da concepire come un’entità organica e vivente, composta da una molteplicità di esseri animati e inanimati che articolano e rendono possibile questa forma super-organica di esistenza.

IL PASSAGGIO all’«Internet delle cose» determina, dalle grandi foreste del Brasile sino ai ghiacciai dell’Antartide, un nuovo vettore di sviluppo: non solo il collegamento tra uomini e macchine che sta definendo la costruzione di queste nuove reti in Occidente; ma anche il collegamento e il monitoraggio con gli ecosistemi naturali. Ne derivano forme trans-organiche di relazioni (esseri umani, dispositivi tecnici, forme di vita animale e vegetale), una «Gaia digitale» e disvelata da queste stesse tecnologie, all’interno delle quali gli esseri umani sono sempre meno gli attori principali e sempre più parti di un tutto più complesso e multiforme. La tesi di Heidegger che risultava prematura nella società industriale diventa la descrizione del futuro prossimo nel nuovo ambiente digitale: gli esseri umani cessano di essere gli attori principali, in una nuova ecologia globale percorsa dalla potenza dei dispositivi, degli algoritmi e delle forme non umane di vita, ora in grado di agire direttamente nel mondo.

LA VISIONE dell’autore conduce così al superamento della politica, come momento di decisione tutto umano sulla società e sulla natura, fornendo così anche una spiegazione del perché partiti e forme della partecipazione nati nella modernità non sembrano più in grado di governare un mondo iper-complesso. Ma dietro a questo quadro indubbiamente realistico degli assetti sociali e tecnici chi si cela? Chi progetta, sviluppa, determina le Reti? Quali interessi sono favoriti e quali sfavoriti? Non ci staremo rassegnando semplicemente alla vittoria del digitale anarco-liberista?

DOMANDE CHE RESTANO inevase in questo bel saggio Di Massimo di Felice. La tecnica non è mai neutra ma sempre socialmente, economicamente e politicamente condizionata: il net-attivismo, sia nella sua forma propriamente politica sia in quella sociale ed ecologica, come ricorda lo stesso autore, nascerà anche dallo zapatismo e dalla spinta che ha dato vita alla prima fase del movimento no-global di fine millennio.
Eppure, questi soggetti e movimenti hanno perso numerose battaglie (anche se forse non la guerra) nello scrivere e sviluppare la storia dell’ecologia digitale contemporanea. Vivendo oggi di un ambiguo rapporto sia con il capitalismo globale delle Reti sia con i suoi conflitti con forme di potere neo-populiste e nazionaliste: si pensi alle recenti decisioni dell’amministrazione americana sulla neutralità della Rete. Bene immergersi all’interno degli ambienti digitali per comprenderli e analizzarli ma senza mai dimenticare che oltre a questo vi è sempre un «esterno», un contesto fatto di rapporti di forza che nessun «superiore destino della tecnica» riesce pienamente a neutralizzare.