Con una partecipazione altissima all’85,7%, domenica al secondo referendum sull’indipendenza della Nuova Caledonia, territorio del sud Pacifico francese dal 1853, ha vinto il “no” con il 53,3% dei voti dei 180.799 elettori.

Ma in piazza sono stati gli indipendentisti a festeggiare, perché la vittoria dei “lealisti” è stata risicata e in calo rispetto al primo scrutinio, nel 2018 (il “no” allora aveva ottenuto il 56,7%). Oggi, ci sono solo più 9.970 voti di scarto tra gli indipendentisti e chi vuole restare in Francia.

Il risultato del referendum potrebbe causare, nelle prossime settimane, una crisi del governo collegiale in Nuova Caledonia, oggi presieduto dal lealista Thierry Santa. Emmanuel Macron, domenica, ha commentato il risultato esprimendo un «profondo sentimento di riconoscenza» per il risultato di un «appuntamento democratico riuscito, malgrado le difficoltà» sanitarie (in Nuova Caledonia il Covid non è un problema, ma c’è la quarantena obbligatoria per chi entra).

Il presidente si è rivolto a «coloro che sono animati da una volontà di indipendenza: è con voi, solo assieme costruiremo la Nuova Caledonia di domani». Macron ha aggiunto: «Bisogna che i partigiani del sì accettino di prevedere l’ipotesi e le conseguenze del no, e che i partigiani del no accettino di prevedere l’ipotesi e le conseguenze del si».

La tensione rischia di aumentare in Nuova Caledonia nei prossimi mesi. «Guardiamo in faccia la nostra storia in Nuova Caledonia, che è una storia coloniale – ha detto Macron – cerchiamo di superarla perché non ci rinchiuda», bisogna «costruire un nuovo progetto», a partire dallo statuto autonomo in vigore da trent’anni. È kanak il nuovo direttore del museo delle arti prime Quai Branly, Emmanuel Kasarhérou.

È la seconda volta che gli abitanti rispondono alla domanda: «Volete che la Nuova Caledonia acceda alla piena sovranità e diventi indipendente?» e che confermano il “no” del primo scrutinio.

Potrebbe esserci un terzo referendum, entro il 2022. È quello che è previsto dall’accordo di Nouméa firmato da Lionel Jospin nel 1998, in seguito agli accordi di Matignon, raggiunti dal primo ministro Michel Rocard nel 1988, anche grazie alla mediazione della chiesa protestante: se al primo referendum vince il “no”, ci potrà essere un secondo scrutinio e così per un terzo.

Una sequenza di tre referendum, dopo 20 anni dall’accordo di pacificazione, che è intervenuto in seguito a quasi quattro anni di guerra civile. Il 5 maggio 1988 – Jacques Chirac primo ministro, François Mitterrand presidente – ci fu un assalto contro degli indipendentisti a Ouvéa, che causò la morte di 19 kanak e di due gendarmi.

L’accordo di Nouméa stabilisce: «È venuta l’ora di riconoscere le ombre del periodo coloniale, anche se non è stato sprovvisto di luce. Il passato è stato il tempo della colonizzazione, il presente è il momento della condivisione, attraverso un riequilibrio. L’avvenire dovrà essere il tempo dell’identità, di un destino comune. La Francia è pronta ad accompagnare la Nuova Caledonia su questa strada».

Il leader del Fronte di liberazione nazionale kanak e socialista (Flnks), Jean-Marie Tjibaou, che aveva firmato gli accordi di Matignon nell’88, è stato assassinato con il suo braccio destro, Yeiwéné Yeiwéne, un anno dopo, il 4 maggio 1989, da un kanak indipendentista fanatico, alla celebrazione in ricordo del massacro di Ouvéa. Porta il suo nome il centro culturale realizzato dall’architetto Renzo Piano.

Nel 2022, che ci sia o non un nuovo referendum, l’accordo di Nouméa arriva a scadenza. Il processo istituzionale, per quanto ben organizzato, non risponde alle fratture locali: come ha di nuovo messo in luce il voto di domenica, sono etniche, sociali e geografiche. Nouméa a l’area sud vicino alla capitale, abitate soprattutto da europei, sono lealiste a grande maggioranza. Il nord e le isole Loyauté, a maggioranza kanak, sono schierati decisamente a favore dell’indipendenza.

Un ruolo è giocato anche dagli elettori dei territori di Wallis et Futuna, che con il partito Eveil Océanien cerca una posizione di mediazione, anche se al primo referendum aveva dato l’indicazione di votare “no” all’indipendenza.

Il Flnks (Fronte di liberazione kanak e socialista), che lotta per l’indipendenza, punta a negoziare «nuovi legami» con la Francia e altri paesi, attraverso accordi bilaterali. Già è prevista una fase di transizione di tre anni dopo la scadenza dell’accordo di Nouméa per insediare il nuovo stato, che si chiamerà Kanaky-Nuova Caledonia.

«Nessuno sarà espulso», ha promesso l’Flnks, che si è impegnato a rispettare i titoli di proprietà stabiliti durante la dominazione francese, ma per i lealisti la prospettiva dell’indipendenza è «pericolosa e catastrofica».
I lealisti si sono radicalizzati, sono riuniti in una coalizione di sei partiti, che comprende anche l’estrema destra del Rassemblement national.

Nel maggio 2018, Macron aveva visitato la Nuova Caledonia e aveva ammesso che bisogna «guardare la realtà in faccia», senza «fare paura»: «In questa parte del mondo la Cina sta costruendo la sua egemonia, passo dopo passo». La Cina, difatti, è in agguato. L’ambasciatore cinese in Francia, a un anno dal primo referendum, nel 2017 aveva visitato la Nuova Caledonia. Il territorio ha le seconde riserve mondiali di nickel. Nel 2018 ha esportato nickel verso la Cina per 900 milioni di euro: il nickel è utilizzato nella costruzione di batterie elettriche, di cui la Cina è un produttore di punta mondiale.

Nell’area del Pacifico sud, un altro referendum è previsto, nelle isole Salomon, dove una provincia vuole fare secessione per paura del dominio cinese.