Come previsto, al referendum sull’indipendenza la Nuova Caledonia ha detto di no. Dei 174.154 aventi diritto al voto nell’arcipelago a nel sud est del Pacifico, è andato a votare l’81%, dato record che si è tradotto in un 56,4% di no e un 43,6% di sì. Per ora resta tutto come prima: la Nuova Caledonia rimane francese.

Per ora, perché se il presidente Macron ieri parlava di superamento di «questo passo storico insieme», l’annunciata valanga di no non c’è stata: quasi un elettore su due vuole l’indipendenza. Per questo non sono pochi quelli che vedono nella vittoria di misura dei no l’inizio di una fase nuova che potrebbe portare a un risultato opposto in futuro e a una reale decolonizzazione, soprattutto a fronte della natura del referendum: sarà possibile riproporlo tra due anni e poi tra quattro.

Perché la struttura sociale della colonizzazione permane, con il 39% della popolazione (come scrivevamo su queste pagine il 3 novembre) composta da indigeni, i kanak, profondamente marginalizzati: con solo il 4% di diplomati, afflitti da un elevato tasso di povertà, vivono per lo più in bidonville, ai margini della costosa capitale e dell’economia. Tra i kanak hanno prevalso i sì, come nota il quotidiano locale Les Nouvelles Calédoniennes, «fermati» – almeno al momento – da europei (il 27% della popolazione) e altri gruppi etnici.

È qui, nella capitale Nouméa che a seggi chiusi si sono registrati incidenti, con automobili e negozi dati alle fiamme e strade chiuse dai manifestanti. Da cui la prudenza dell’Eliseo: «Chiedo a tutti di guardare al futuro da costruire insieme. Lo spirito del dialogo è il solo vincitore», ha aggiunto Macron.