La compagine azionaria più o meno c’è e potrebbe tornare perfino a maggioranza pubblica. Mancano i soldi e il piano industriale. E rimangono a rischio migliaia di posti di lavoro.

La nuova Alitalia targata Fs – la prima alleanza ferro-cielo al mondo – parte con grandi incognite e ben poche certezze. La principale è l’addio a Lufthansa – i tedeschi fissavano almeno a 3mila su 11mila dipendenti attuali gli esuberi e puntavano a fare di Alitalia una compagnia regionale – e l’arrivo della coppia Delta Airlines e EasyJet, con l’ipotesi ancora in campo di due società distinte: una sul lungo raggio con il gigante americano e una sul corto-medio raggio con la low cost inglese.

IL PUZZLE AZIONARIO della newco è completato dal governo stesso con il ministero dell’Economia che, commissione Europea permettendo, entrerebbe convertendo il prestito da 900 milioni concesso nel maggio 2017 e da restituire entro il 30 giugno, in buona parte però già prosciugato come perdite di cassa in questi mesi di ulteriore commissariamento.

IL PROBLEMA È PERÒ che per salvare Alitalia e per farne una compagnia seria servono almeno 1,5 miliardi e per ora Delta e EasyJet non pensano di mettere più di 200 milioni a testa. Per arrivare a questa cifra serve che Fs investa una cifra molto superiore a quanto preventivato, avendo già del resto rinunciato a farlo in Industria italiana autobus per il polo dei bus.

In quest’ottica è probabile che il Mef possa aumentare la sua quota, anche se è difficile che possa arrivare molto sopra al 20 per cento, quota già superiore a quella detenuta dal governo francese in AirFrance.
Da scartare invece l’ingresso di altre società partecipate – Poste e Leonardo – mentre Cassa depositi e prestiti potrebbe servire come garanzia per il finanziamento all’acquisto o al leasing di nuovi velivoli.

ILLUSTRANDO LE NOVITÀ agli odiati sindacati, il vicepremier e ministro dello Sviluppo Luigi Di Maio non ha potuto che stare molto sul vago. Il suo obiettivo primario pare essere scavallare le Europee, nonostante la gravità della situazione, per non dover proferire la parola «esuberi» nella delicata campagna elettorale.

Di Maio ha annunciato che il piano industriale della nuova compagine arriverà «entro il 31 marzo», unica cifra citata dal ministro. «Lo stato entra per garantire che non avvengano ridimensionamenti dei dipendenti e dell’azienda», ha esordito, precisando però di non poter smentire la presenza di esuberi. «Porteremo avanti una strategia turistica attraverso Alitalia, abbiamo una visione d’insieme anche se entreremo nel vivo della trattativa quando avremo la proposta industriale dei tre soggetti». In più ha confermato che «l’offerta Lufthansa non ci ha mai entusiasmato» mentre «il disinteresse di AirFrance non c’entra con le tensioni con la Francia ma con problemi interni con Klm», promettendo una nuova convocazione al Mise appena ci sarà «il piano industriale».

AD ATTENDERE FUORI DAL MISE c’erano molti lavoratori cassintegrati, preoccupati del loro futuro. Per 1.400 la cassa integrazione straordinaria scade il 23 maggio e difficilmente potrà essere rinnovata a causa del mancato rifinanziamento in legge di Bilancio del Fondo aereo.
«I lavoratori Alitalia hanno già dato», ha detto all’uscita il segretario generale della Cgil Maurizio Landini. «I tempi sono stretti, non ci è stato presentato un piano industriale, che per essere credibile non deve prevedere né esuberi né idee di riduzione di salario e diritti», «la presenza pubblica è sicuramente importante ma bisogna vedere per fare cosa, non è sufficiente se non ci sono investimenti ed un progetto industriale», lanciando lo slogan «aeroporti e porti aperti».

Anche per questo Landini e la Filt Cgil spingono per una mobilitazione a breve per mettere pressione a Di Maio e a Fs. «Valuteremo con i lavoratori cosa mettere in campo se nei prossimi giorni non ci saranno convocazioni rapide». Anche il numero uno della Uil Carmelo Barbagallo punta su questo: «Aspettiamo di vedere la proposta di piano industriale, da quello si evincerà se ci sono le promesse fatte, il rilancio, non ci sono esuberi né dumping contrattuali e salariali». È necessario «costruire un vero piano industriale che dia garanzia sui livelli occupazionali», rimarca il segretario confederale Cisl Andrea Cuccello.