La Turchia di Recep Tayyip Erdogan è ormai una caricatura giudiziaria dove l’interferenza del governo sulla magistratura ha nei fatti sistematizzato una routine persecutoria verso ogni dissenso politico, artistico e intellettuale. L’istituzionalizzazione della detenzione sine die se da un lato condanna per presunto terrorismo decine se non centinaia di giornalisti, oppositori e attivisti, dall’altro genera ogni giorno fiammanti lotte, inedite poesie, nuove lotte.

Quella di Selahattin Demirtas è la punta di un iceberg di una società del malessere dove quei paesaggi umani (Memleketimden Insan Manzaraları) magistralmente descritti in versi da Nazim Hikmet durante la detenzione quasi cent’anni fa, trovano oggi una scenografia vivente di uomini e donne vittime di una pornografia giudiziaria inverosimilmente al potere da decenni.

Un paese la cui stampa è perlopiù vicina al governo, dove la resistenza passa per un web sempre più limitato e dove quasi un centinaio di giornalisti sono oggi in custodia cautelare o scontano condanne per reati di terrorismo.

Una società dove anche la pandemia diventa pretesto per l’organizzazione di oscene indagini contro cittadini rei di alimentare paura e panico, ovvero, di aver espresso sui social perplessità e critiche circa la politica sanitaria di contrasto al Covid-19.

IN QUESTA ACCADEMIA di prigionieri di coscienza, fioccano le sospensioni di trasmissioni televisive. Tra serie tv costrette a rimuovere episodi e rimozioni di personaggi scomodi da programmi radiofonici, le accuse di terrorismo continuano ad essere l’arma principale per escludere e marginalizzare ogni voce libera.

L’approccio restrittivo del governo verso ogni minoranza peggiora ogni anno. Se le attività pubbliche dei gruppi per i diritti Lgbt è proseguito con il divieto di eventi, tra cui le marce del Pride, la repressione nei confronti di minoranze etno-linguistiche non ha cambiato passo.
Per sconfiggere i mali cronici del paese fondato da Mustafa Kemal nel 1923, servirebbe davvero una nuova alba, come il titolo di racconti di Demirtas le cui protagoniste sono figure femminili capaci di affermare la propria libertà. Una libertà possibile e priva di odio.