«Sono nubiana ed egiziana in egual misura. Fiera di esserlo. Ed è per questo che combatto contro un governo che non vuole riconoscere i diritti dei suoi stessi cittadini». Le parole di Fatema Emam, un’attivista che da anni lotta per la riaffermazione della comunità nubiana in Egitto, racchiudono tutta l’amarezza di un popolo che sta assistendo alla scomparsa della propria storia e cultura tra l’indifferenza del governo e la marginalizzazione da parte dell’opinione pubblica.

ASSUAN SI TROVA a circa mille km a sud del Cairo, ma non è lontana solo geograficamente dalla capitale egiziana. Qui il Nilo ha un altro colore. È di un blu intenso di giorno e la sera riflette sulle sue acque i raggi arancioni del sole che scende dietro le colline sabbiose.

«Questa terra ospita uno dei popoli più antichi che abitano l’Egitto: i nubiani». È Muhammad Sobhi, 65 anni, a farci entrare all’interno della sua comunità aprendoci le porte del museo da lui stesso creato più di 14 anni fa. Animalia è un luogo pensato per raccontare agli stranieri chi erano i Nubiani. «In ogni casa c’era un coccodrillo imbalsamato a dimostrazione del coraggio degli uomini» ci racconta, mostrando la salma dell’animale esposto in una delle stanze del museo. Sui muri delle case venivano disegnati l’uno accanto all’altro i simboli cristiani, islamici e animisti: «Nella nostra storia millenaria abbiamo abbracciato tre diverse culture e oggi se ne sente ancora l’influsso».

 

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Muhammad Sobhi

 

LE FOTO APPESE ALLE PARETI, in un’altra stanza, mostrano i nubiani intenti nelle loro attività quotidiane: la pesca, l’arte dell’intreccio delle palme, il ruolo fondamentale delle donne nella società. Ma soprattutto i villaggi originari, quelli che sorgevano intorno al lago Nasser, e che i nubiani sono stati costretti ad abbandonare. «Da oltre cinquant’anni aspettiamo di ritornare nella nostra terra ancestrale, che dall’Egitto meridionale si estende fino in Sudan», continua Sobhi.

DOPO L’AMPLIAMENTO della Diga di Assuan, voluta dal governo egiziano nel 1960 infatti, circa 90 mila nubiani hanno dovuto lasciare le proprie case. L’innalzamento delle acque ha inghiottito i loro villaggi ma ha messo a rischio anche diversi siti archeologici come Abu Simbel e alcuni templi, salvati poi dall’Unesco. Oggi i nubiani aspettano ancora che il governo mantenga la promessa di ricostruire i villaggi distrutti e risarcire la popolazione.

Per il riconoscimento dell’identità di questo popolo lottano da anni gli attivisti dell’associazione Unione generale dei nubiani. «Chiediamo che la nostra lingua venga insegnata nelle scuole. Vogliamo tornare alla nostra terra d’origine e avere il diritto di partecipare ai piani di sviluppo della nostra regione»: le parole di Muhammad Azmy, presidente dell’associazione. Richieste rimaste però senza esito, nonostante l’articolo 238 della Costituzione egiziana riconosca il diritto al ritorno per i nubiani nella storica terra.

 

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L’INDIFFERENZA da parte del governo ha determinato negli anni un inasprimento delle tensioni fra attivisti e forze dell’ordine, «il 3 gennaio scorso sei nubiani sono stati arrestati mentre viaggiavano su un bus verso la regione a ovest di Assuan», dice Azmy. Dopo questo episodio la polizia ha minacciato di chiudere l’organizzazione e di destituire Muhammad. Un’intimidazione rigetatta dagli altri membri, che con nuove elezioni il 13 gennaio lo hanno riconfermato presidente.

«LE AUTORITÀ HANNO PAURA che io riesca a portare la questione nubiana all’attenzione internazionale – racconta Azmy – per questo mi seguono ovunque e mi controllano: ogni 30 minuti devo cambiare la password di Facebook». Ma dietro a questo atteggiamento ostile da parte delle autorità egiziane si nasconde un’amara realtà per i nubiani. «Il governo – aggiunge l’attivista – è pronto a espropriare circa un milione e mezzo di acri di terra a sud della diga di Assuan per far sorgere nuovi resort e hotel». Un maxi progetto pensato unicamente per i turisti, che non tiene minimamente conto dei diritti dei nubiani. «Alcuni distretti dell’area sono stati inoltre classificati come zone militari, nononostante fossero occupati da villaggi», spiega Fatema Emam.

IL GOVERNO CONTINUA quindi a discriminare questa parte della popolazione egiziana. La stretta repressiva di Al Sisi che non riconosce la cultura nubiana, insieme al progetto di creare un’area per il turismo di lusso sui quei territori, potrebbe costringere la comunità a una nuova migrazione e porterebbe a un ulteriore inasprimento dei rapporti tra gli attivisti e le autorità egiziane. Muhammad Azmy e Fatema Emam non vogliono cedere, determinati come sono a voler ridare al proprio popolo la dignità persa.

 

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Con più calma, ma non per questo con meno determinazione, Sobhi spiega invece che la battaglia per la preservazione delle radici deve essere interna alla comunità, «perché se lottiamo per la cultura, importante non solo per i nubiani, ma per l’intera umanità, nessuno cercherà mai di fermarci». Il creatore di Animalia fa i conti con la situazione attuale dell’Egitto; «È vero che nella Costituzione si parla del diritto al ritorno – dice -, ma il problema è che il paese sta attraversando un periodo economico davvero difficile. Come si può pretendere che ora il governo si metta a costruire le città per noi. Dove dovrebbero prendere i soldi?». L’esperienza di Sobhi mostra la consapevolezza dell’atteggiamento del Cairo verso i nubiani nel corso della storia: «Non ce l’hanno con noi. Il loro è sempre stato piuttosto un atteggiamento di indifferenza».

LE FOTO IN BIANCO E NERO esposte nel museo raccontano storie e volti di una comunità che si sta trasformando.Oggi nei villaggi le donne non intrecciano più foglie di palma per realizzare colorati cesti, ma trasportano sulla testa vassoi con souvenir da vendere ai turisti. Gli uomini, una volta dediti alla pesca e all’agricoltura, ora gestiscono ristoranti e ostelli. «Io e mia moglie parliamo il nubiano in casa, ma non le mie figlie – racconta Mohamed Sobhi -. A scuola gli è stato insegnato l’arabo e ora lavorano all’estero». Fa una pausa e con un sorriso accennato conclude, «È così, i tempi cambiano e sta a noi farli nostri».