Da un giorno all’altro, dal mese di Ramadan in cui si faceva tutto di notte e nulla durante il digiuno, si è passati al coprifuoco. Ora, al contrario, le giornate diventano frenetiche e le notti vuote: tra le 8 del mattino e le 6 del pomeriggio le strade sono impraticabili, una sorta di traffico fermo rispetto al solito lento procedere delle macchine per le vie del Cairo. Per questo da oggi le autorità hanno deciso di posticipare l’inizio del coprifuoco dalle 7 alle 9 di sera.
Incredibilmente tutti rispettano la misura d’emergenza, se nelle notti della rivoluzione del 25 gennaio fervevano gli appuntamenti, gli incontri e le discussioni notturne, ora il clima è ben diverso. I comitati popolari, continuamente infiltrati da criminali, sono stati sciolti per volontà del ministero degli Interni, quindi sono spariti dalle strade della notte del Cairo. E gli unici spostamenti durante il coprifuoco possono avvenire all’interno di un quartiere, tra una via e una piazza, per raggiungere il bar sotto casa per una shisha (narghilè) al sapore di tabacco o di limone e un succo di frutta, ma non oltre. Le corse per gli approvvigionamenti di cibo non sono avvenute con la stessa voracità dei tempi della rivoluzione, ma ogni giorno il via vai per acquisti e compere è continuo perché i negozi di sera e di notte sono chiusi.
Si ritorna a incontri fugaci con amici e familiari durante il giorno e a lunghe telefonate notturne, mentre i social network diventano spesso l’unica fonte di informazione quando la televisione di stato non fa che ripetere accuse generiche contro gli islamisti e gli altri canali, vicini alla Fratellanza, sono ormai oscurati da mesi. E la caccia ai leader della Fratellanza diventa un sadico passatempo per chi li considera responsabili di aver illuso per 40 giorni le centinaia di migliaia di persone che hanno occupato piazza Rabaa al-Adaweya, Nahda e le piazze delle principali città egiziane.
Per le famiglie delle vittime di Rabaa sono notti di riflessione, i loro animi sono stati in tensione per settimane. Ed ora nessuno vuole più vedere sangue scorrere per le vie del Cairo. Molte moschee di notte sono chiuse: si sono trasformate troppo spesso in luogo di rifugio e in obitorio. Le immagini della moschea al-Fatah sotto assedio impressionano ancora.
Sono notti di tensione per molti cristiani che si sentono sotto attacco, spesso ingiustificatamente. Sono momenti critici anche per poliziotti e militari, esasperati dalla propaganda di regime e impegnati, armati fino ai denti, a difendere caserme e stazioni di polizia. Per questo di notte, nessuno si azzarda a camminare per strada: «Se hai la sfortuna di incontrare un agente folle, puoi rischiare grosso», assicura Khaled mentre ci accompagna in tok tok nel quartiere di Embaba.
Non resta per molti che dedicarsi alla musica di Abdel Kalim Hafez e Nagat, ma anche ai rap di Asfalt, Ahmed Mekki e Rommel B. e degli immancabili cantanti shaabi pop, come Ahmed Adaweya e Oca w Ortega. Dopo un mese passato, attaccati agli schermi delle soap, molti trascorrono ore tra film d’epoca, di Youssef Chahine su tutti. E così la trasgressione rara di un’uscita notturna sembra trasformare la casa in un altrove lontano dalla street politics delle vie del Cairo, come avviene nei film di Bertolucci:  Un giorno prima della rivoluzione e The Dreamers. Mentre per i giovani rivoluzionari è una corsa a inventarsi simboli gialli da postare su Facebook, per sdrammatizzare lo scontro politico e ricordare lo sgombero di Rabaa.
Nel cuore della notte si sentono talvolta spari o le urla di gioia di piccoli matrimoni senza sfarzo per il momento di tensione. Di mattina ritornano le grida consuete dei robivecchi e dei carretti che trasportano otri di alluminio pieni di fave. E poi i venditori di bombole di gas e i raccoglitori di immondizia, mentre riaprono le minuscole botteghe degli elettricisti, i falegnami e i carpentieri: ma tutto per poche ore. La notte è anche il tempo della disillusione: «L’Egitto è un nuovo laboratorio democratico», ci assicura l’attivista liberale Karam nel bar Estornat. Ma Aymad la contraddice: «Nessuno vuole più la democrazia in Egitto: abbiamo visto a cosa porta». Mentre lo scrittore Adam ci spiega che ormai il suo interesse è allontanarsi dallo scontro cairota e rifugiarsi tra i gitani che affollano le montagne di Aswan. Mentre l’avvocato Ahmed si chiede se è giunto il momento di difendere i diritti anche dei Fratelli.