Alle 21 di venerdì sera, un gruppo composto da una cinquantina di militanti si è dato appuntamento alla Cinémathèque Française e si è confuso tra gli spettatori del film Prêt à tout. Finito lo spettacolo, intorno alle 23, i membri del gruppo si sono alzati e hanno distribuito un volantino, chiedendo a tutti i presenti di rimanere per discutere delle condizioni di lavoro alla Cinemathèque e in altri luoghi della cultura (il Mocem, il Centro Pompidou di Metz). A febbraio, in occasione della partenza dell’ex direttore Serge Toubiana, una studentessa, che per due anni aveva lavorato alla Cinémathèque all’accoglienza a alla biglietteria, raccontava in un video-messaggio la propria esperienza: la voglia di lavorare nel tempo del cinema da un lato, la realtà di un lavoro esternalizzato, non riconosciuto, precario e spesso umiliante. Infine il ben servito: dopo due anni, l’agenzia non ha più bisogno di lei. Nel volantino distribuito ieri c’era la reazione del nuovo direttore a questo video, Frédéric Bonneau: «Penso che quello di cassiera e di bigliettaia sia un lavoretto da studentesse. Sapendo di scioccare, dico che non mi ci vedo a fare un contratto a tempo indeterminato a gente che vende i biglietti». Il ragionamento sciocca, soprattutto venendo da una persona che si dichiara su posizioni di sinistra.

Dopo la distribuzione del volantino, una parte del pubblico ha preso la porta. Altri sono rimasti. È nata un’assemblea che ha cominciato a dibattere su diverse questioni, alcune di ordine pratico, alcune di ordine teorico, molte dettate dall’umore, altre ancora dall’urgenza.

Cosa chiede quest’assemblea? Rivendica un’azione nel quadro del movimento Nuit débout che lotta contro la legge El Khomry di riforma dei diritti dei lavoratori. E chiede di mettere un termine alla precarietà, a cominciare dalla Cineteca. Perché la proprio la Cineteca? Su questo le idee divergono: la Cineteca è un luogo simbolico. No, è un luogo come un altro. Molti dei presenti, frequentatori abituali, scoprono un mondo che finora ignoravano. Dietro l’istituzione che promuove il cinema, spesso impegnato, e che invita Gus Van Sant, Jean-Marie Straub e Ken Loach, c’è un’azienda che utilizza un’agenzia di lavoro interinale.

Verso mezzanotte, arriva la polizia, chiamata dal personale di sicurezza. Dalla grande sala, l’assemblea si sposta sul «mezzanino» – una terrazza interna dove di regola sono organizzati i cocktail con gli invitati d’onore. Il dibattito continua. La domanda è: che cosa chiediamo? La fine del lavoro internale. Contratti decenti. Qualcuno propone la fine del lavoro. Si riparte dalla frase di Bonneau. Se quello di cassiera può essere considerato un «lavoretto» da studentesse, allora bisogna ripensare il lavoro. Il problema non è (solo) quello di pagare meglio le cassiere. Il problema è di modificare il ruolo dei lavoratori. La Cinemathèque dovrebbe essere un luogo di formazione. Chi stacca i biglietti dovrebbe essere valorizzato dal punto di vista professionale e umano.

L’assemblea comincia ad estendersi. Si creano degli ateliers: c’è da fare un comunicato. C’è soprattutto da decidere che fare. Gli spettatori che si sono uniti al movimento si chiedono se rimanere e per quanto tempo. La polizia comincia ad agitarsi. Si può incontrare il nuovo direttore ? No, è in vacanza. L’interlocutore è il vice-direttore amministrativo, il signor Michel Romand-Monier. Perché la Cinemathèque ricorre a una agenzia di lavoro interinale? Perché i lavoratori non possono essere assunti ? Risposta: il budget non ce lo permette. La Cinémathèque non può permetterselo. Oggi si lavora così. E lei, quanto guadagna signor vice-directeur? 6000 euro netti al mese. E il direttore, lui, quanto guadagna? 9000 euro netti al mese. E il signore della sicurezza, lui, ha un contratto fisso? Sì, lui ce l’ha.

Nei discorsi degli occupanti, ritorna spesso un principio: la Cinemathèque è un luogo della sinistra, il cinema è di sinistra. Il vice-directeur ha gioco facile a denunciare questo pregiudizio. La Cinemathèque è un’istituzione, e di per sé non ha una posizione politica. E il cinema non è tutto di sinistra. Ma l’ingenuità dell’assemblea non è senza ragione, ché la Cinémathèque gioca su un’immagine progressista. Ed è pur vero che, se i registi non sono tutti di sinistra, molti dei film che vengono mostrati qui denunciano l’ingiustizia sociale; è paradossale che, acquistando un biglietto alla Cinémathèque, si contribuisca a riprodurre quest’ingiustizia.

È una questione d’immagine, si dirà. Ma l’immagine, per una Cinémathèque, non è poca cosa. È per questo che la polizia non ha ancora usato le maniere forti. E che, anche quando, verso le 3 e mezza, la decisione di sgomberare i locali è infine presa e attuata, verrà utilizzato un pugno di velluto. La Cinémathèque non vuole scandali, non vuole incidenti. Vuole ricominciare solo domani come se nulla fosse. Anche i militanti ricominceranno, da domani mattina, l’appuntamento è alla Bnf (Bibliothèque nationale) occupata.