Con nove nomination Birdman e The Grand Budapest Hotel conducono un’edizione degli Oscar essenzialmente dominata dal cinema di stampo «indipendente» anche quando realizzato sotto l’ala degli studios. Insieme a Boyhood, che rimane il favorito dopo la vittoria di domenica scorsa ai Golden Globes – ieri ha ricevuto sei nomination – gli ultimi lavori di Alejandro Gonzalez Inarritu e di Wes Anderson (entrambi prodotti dalla Fox Searchlight) sono stati nominati per la categoria di miglior film, come anche American Sniper di Clint Eastwood (sei nomination), The Imitation Game di Morten Tyldum (otto nomination), Selma di Ava Du Vernay, The Theory of Everything (La teoria del tutto) di James Marsh e Whiplash di Damien Chazelle. Inarritu, Anderson, Linklater e Tyldum correranno anche per l’Oscar di miglior regista, insieme a Bennet Miller (Foxcatcher), ma non a Eastwood che era invece stato nominato dalla Directors Guild.

 

Alla serata di premiazione dell’87esimo Academy Award, il 22 febbraio prossimo, Boyhood porterà alla categoria più simbolicamente importante, quella di miglior film, un rapporto inedito con il cinema della realtà, e sicuramente quello più creativo Ma questa è un’annata in cui le «storie vere» hanno imbevuto gran parte dei titoli della campagna Oscar, e anche le nomination per i migliori attori riflettono quel trend: Steve Carrell nel ruolo del miliardario John du Pont, Bradley Cooper in quello del cecchino Chris Kyle, Benedict Cumberbatch in quello del matematico Alan Turing e Eddie Redmayne in quello di Stephen Hawking. A loro si aggiunge Michael Keaton attore di blockbuster che sogna una carriera «seria» in Birdman. A sorpresa è rimasto invece tagliato fuori dalle nomination David Oyelowo, per la parte di Martin Luther King in Selma.

 

Anche i personaggi di Felicity Jones (The Theory of Everything), Julianne Moore (Still Alice) e Reese Whiterspoon (Wild) nominate per la statuetta di miglior attrice (insieme a Rosamund Pike e Marion Cotillard) arrivano dalla cronaca. Così quelli di Mark Ruffalo (Foxcatcher), Laura Dern (Wild), Keira Knightley (The Imitation Game), nominati come migliori attori, e attrici, non protagonisti.
Edward Snowden (CitizenFour), la fotografa amatoriale Vivian Maier (Finding Vivian Maier), la ritirata dal Vietnam (Last Days in Vietnam), Sebastiao Salgado (The Salt of the Earth) e i gorilla del Congo (Virunga) sono i protagonisti della categoria del documentario; Big Hero 6, The Boxtrolls, How To Train Your Dragon 2, Song of the Sea e The Tale of Princess Kaguya di quella del cinema d’animazione, in cui, inaspettatamente, è assente The Lego Movie, uno dei grandi successi animati dell’anno.
E, parlando di successi, dispiace che sia stato escluso da quasi tutte le categorie, Guardians of the Galaxy, segno di un grosso cinema di action-adventure da studio inventivo, sia formalmente che nello spirito, oltre che una delle colonne sonore migliori dell’anno.

 

Darkness e grande spettacolo non hanno conquistato i membri dell’Academy come invece le storie edificanti. Insieme anche alla sci-fi lisergica di James Gunn, a quella pretenziosa/monumentale di Christopher Nolan (Interstellar), sono stati snobbati quasi interamente anche David Fincher e il suo Gone Girl (ma è nominata come miglior protagonista Rosamund Pike) e il pynchoniano Inherent Vice di Paul Thomas Anderson, due dei grandi gesti autoriali dell’autunno Usa. Ed è stato riconosciuto meno di quanto ci si aspettasse anche Nightcrawlers di Dan Gilroy (che correrrà per la miglior sceneggiatura originale).

 

Polonia con Ida, Russia con Leviathan, Estonia con Tangerines, Argentina con Wild Tales e Mauritania, con Timbuktu (il film di Sissako è apparso all’improvviso al posto dello svedese Force Majeure) si contenderanno l’Oscar al film straniero. In una stagione di uscite cinematografiche torpida, ormai parte integrante di una corsa agli Academy Awards in cui non si risparmiano più i colpi, le polemiche vivacizzeranno le settimane che ci separano dalla cerimonia.

 

Un discorso a parte meritano le critiche sorte alla presunta veridicità di film come Selma, American Sniper o Foxcatcher. Più pretestuose (anche se fondate su un problema reale, e cioè il fatto che la membership dell’Academy è fatta di una stragrande maggioranza di uomini bianchi di una certa età) invece le polemiche sull’esclusione di donne e afroamericani dalle nomination. Selma di Ava Du Vernay e il soporifero «grande escluso» Ubroken di Angelina Jolie, non sono film all’altezza di The Hurth Locker e nemmeno Zero Dark Thirty (o dei miglior fim di Sophia Coppola e Jane Campion): essere una donna, o essere una donna afroamericana, non ti dà un diritto in più alla nomination agli Oscar (come invece suggeriva su Variety un pezzo inquietantemente paternatlistco di Brent Lang: «I membri dell’Academy hanno perso la chance di fare storia nominando per la prima volta una donna afroamericana come miglior regista. Eppure è quello di cui si parlerà nei prossimi giorni.