Non avevano considerato un po’ di cose. Gli organizzatori erano riusciti in un’impresa che sembrava impossibile, portare finalmente i Led Zeppelin in Italia. Però non avevano considerato come la cornice che avevano pensato per il gruppo di Page e Plant non fosse esattamente la migliore. I Led Zeppelin erano stati messi in cartellone in una tappa del Cantagiro, una delle più importanti manifestazioni canore italiane. Questo significò che quel maledetto 5 luglio 1971, insieme ai fan dei Led Zeppelin c’erano tante allegre famiglie accorse al Velodromo Vigorelli di Milano per ascoltare Lucio Dalla, Mia Martini, Gianni Morandi, i Ricchi e Poveri, Milva, New Trolls. Riuscite a immaginarlo?
Ma non era finita qui. Nessuno aveva poi considerato con sufficiente attenzione la presenza dei manifestanti dei gruppi extraparlamentari che coglievano ogni occasione utile per dare voce al proprio dissenso nei confronti del governo. Ma non solo. Erano stati sottovalutati anche gli autoriduttori, giovani che pretendevano di poter accedere alla cultura liberamente, senza dover pagare, e che per questo volevano che anche i concerti fossero liberi. Non ne volevano sapere di pagare il biglietto d’ingresso, e chiedevano agli artisti di suonare gratis, perché la cultura non poteva essere una merce.
Infine non avevano considerato il potenziale esplosivo di questa folle commistione tra famiglie, manifestanti politici, autoriduttori e i fan dei Led Zeppelin, quel gruppo che la stampa si era affrettata a battezzare come gli eredi dei Beatles, ma che ben poco avevano musicalmente a che fare con il quartetto di Liverpool.

CAPELLONI E FAMIGLIOLE
E così la serata si presenta subito in salita. Una buona metà del pubblico inizia a fischiare il primo dei big italiani, Gianni Morandi, che è letteralmente costretto a fuggire dal palco. I giovani «cappelloni traviati dal rock», non erano lì per la musica leggera italiana, e mentre le famiglie avevano già iniziato a sciamare fuori dal Velodromo, all’esterno gli autoriduttori e gli extraparlamentari iniziavano a premere contro le transenne, a rovesciare i cassonetti, a scandire cortei di piazza.
Nel loro camerino, i Led Zeppelin sono tranquilli, rilassati, mentre fuori dal Vigorelli la situazione diventa incandescente. La polizia in tenuta antisommossa non fa che surriscaldare gli animi. Iniziano gli scontri, i lanci di bombe carta, fino a quando un manipolo di autoriduttori riesce a sfondare le cancellate e a riversarsi dentro il Vigorelli. Gli organizzatori capiscono che la situazione sta sfuggendo di mano e decidono di lanciare sul palco i New Trolls, il gruppo che probabilmente tra quelli in cartellone più si avvicina ai Led Zeppelin. E in effetti la formazione italiana regala un’ottima performance, tra gli applausi di molti fan dei Led Zeppelin che ne apprezzano il sound. Ma neppure questo riesce a placare gli animi e il prato del velodromo diventa sempre più rovente. Alla fine i Led Zeppelin vengono fatti salire in fretta e furia per cercare di calmare il pubblico. Ormai di famiglie non ce n’è più neanche l’ombra, sono solo giovani che vogliono ascoltare i loro idoli d’oltremanica.

La copertina di «Led Zeppelin ’71. La notte del Vigorelli» (Tsunami Ed.)

 

Page e soci attaccano con Immigrant Song, un urlo di battaglia che fa esplodere il velodromo. La voce di Robert Plant è impressionante, chi è presente la ricorda stagliarsi su tutto, sulle grida dei manifestanti, sulle urla di chi sta scappando, su tutto. I primi quattro brani sono memorabili, rappresentativi di tutta la grandezza di un gruppo che stava scrivendo la storia della musica rock.
Poi accade il peggio. Dall’esterno, dei candelotti fumogeni scavalcano il tetto del velodromo e atterrano sul prato inondandolo di fumo. La gente inizia a tossire e a piangere, scappano tutti alla rinfusa. Incredibilmente, i Led Zeppelin continuano a suonare, come ricorda Vittorio De Scalzi: «Loro, a dispetto di tutto, continuavano a suonare anche in un momento che sembrava critico e pericoloso. I commenti che giravano dietro al palco erano: ‘Vedi quelli lì? Sono abituati alle V2 e continuano a suonare perché gli inglesi sono un popolo abituato a queste cose!’, mentre noi non vedevamo l’ora di scappare perché cominciava a diventare pesante. Non eravamo ancora abituati a queste cose, tra l’altro in un contesto popolare familiare». I Led Zeppelin erano abituati a ben altro che una pioggia di lacrimogeni, i loro tour negli Usa erano diventati una collezione memorabile di episodi ben oltre i limiti della legge, non si sarebbero certo fatti spaventare da un po’ di fumo.

LA CARICA
Ma quello non era solo un po’ di fumo. Fuori dal velodromo la polizia carica, i manifestanti lanciano le molotov, si sta scatenando il caos per Milano e la gente dentro il Vigorelli inizia a capire che quel catino sta per diventare una trappola mortale. Scoppia il panico, la folla inizia a riversarsi fuori dai cancelli mentre ancora in molti stavano cercando di entrare. Uno sciame di persone invade il palco, i Led Zeppelin sono costretti a scappare a gambe levate abbandonando buona parte della strumentazione.
In quel 5 luglio si erano rivelate una serie di verità che in pochi avevano considerato con la giusta dovizia. La situazione politica italiana era una polveriera di dissensi, depistaggi, fazioni, estremismi, con l’ombra del terrorismo e degli anni di piombo. Ogni occasione di visibilità pubblica era una possibilità irripetibile per chiunque di poter far sentire la propria voce. Anche in occasione di un concerto rock. In secondo luogo, il concerto del Vigorelli palesò tutta l’impreparazione delle forze dell’ordine a gestire eventi di ordine pubblico come questo. Negli anni sarebbero nati protocolli e procedure apposite, ma quel 5 luglio 1971 tanti errori di valutazione e di condotta furono commessi anche da chi doveva proteggere i cittadini. Poi c’era un aspetto più squisitamente musicale. I gusti del pubblico non erano così polarizzati come gli organizzatori e gran parte della stampa italiana pensavano. C’erano i fan della musica leggera, gli appassionati del Cantagiro e di Sanremo, ma c’erano anche migliaia di giovani a cui quella musica non interessava. Erano quei ragazzi che ascoltavano Radio Luxembourg, che si facevano portare i dischi d’importazione dagli amici che andavano a Londra o a Berlino, che avevano i capelli lunghi come i loro idoli, e a cui non fregava nulla della musica leggera italiana. E infine c’era il tema della libertà di fruizione della cultura, un argomento spinoso, scivoloso, quanto mai attuale ancora ai giorni nostri. Negli anni Settanta erano gli autoriduttori, oggi sono i ragazzi che scaricano illegalmente la musica dalla rete. È cambiato il contesto, sono cambiati i presupposti, è diverso il retroterra tra questi due fenomeni ma la domanda a monte e gli effetti a e valle rimangono simili: perché dover pagare per la cultura?
Fu così che quella data sarebbe rimasta scolpita negli annali come l’unica dei Led Zeppelin in Italia. Un giorno infausto, in cui tutta questa serie di considerazioni presero forma e vennero gettate di prepotenza davanti agli occhi dell’opinione pubblica. I Led Zeppelin divennero così protagonisti loro malgrado di una doccia di realtà che piombò gelida su Milano e su tutti gli appassionati di musica in Italia che per anni a seguire, fino al tour di Patti Smith nel 1979, a causa di quegli eventi non videro più arrivare le grandi rockstar inglesi e americane. E la chiosa della vicenda sta tutta nelle parole di Jimmy Page: «Italia è una parola che non va mai pronunciata in mia presenza».

* Autore del libro «Led Zeppelin ’71. La notte del Vigorelli» (Tsunami Ed.)