L’Italia è il terzo importatore d’acqua virtuale al mondo, dopo Giappone e Messico. Questo significa che in un anno nel nostro paese si riversa un flusso d’acqua virtuale pari a 2 laghi di Garda (90 km cubi, dato del 2012), che è il volume d’acqua che è stata utilizzata per produrre i prodotti agricoli che importiamo dall’estero. C’è anche un flusso di acqua virtuale in uscita, contenuta nei prodotti che a nostra volta esportiamo, ma inferiore. Ecco che la nostra bilancia idrica è in rosso. Dal 1986 al 2010 il flusso è aumentato dell’82%.
Con il professor Francesco Laio, del Dipartimento di Ingegneria dell’Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture del Politecnico di Torino, cerchiamo di capire che cosa significa per il nostro paese essere così dipendenti da risorse idriche che provengono da ogni parte del globo.

Professore, perché l’Italia importa così tanta acqua virtuale?

I calcoli sull’acqua virtuale vengono fatti sui flussi riportati dalla Fao di 340 prodotti agricoli scambiati nel commercio internazionale da 200 nazioni. Poiché conosciamo quanta acqua serve per ciascun prodotto, riusciamo a calcolare i movimenti di acqua virtuale da e per ciascuna nazione. I dati sul consumo di acqua virtuale in Italia descrivono un comparto agricolo in contrazione e il progressivo abbandono di terre coltivate, un trend che continua a decrescere dall’inizio del secolo scorso. Assistiamo in Italia, come in tutti i paesi europei, al disaccoppiamento tra le zone di produzione agricole e quelle di consumo, con la progressiva perdita di percezione del danno eventuale che la produzione di determinati beni ha sull’ambiente. Danni che siamo tentati di ignorare.

A quali rischi ci esponiamo?

I rischi sono quelli che affronta un sistema economico che si affida alla produzione di beni al di fuori del territorio nazionale. Quindi, rischi di natura economica e di maggiore suscettibilità alle crisi politiche e ambientali di altri paesi. Quando l’Argentina è stata travolta dalla crisi finanziaria da un anno all’altro ha dimezzato la sua produzione alimentare, ma le ripercussioni si sono sentite anche in Italia con un sensibile aumento dei prezzi perché siamo maggiormente esposti alle fluttuazioni internazionali. Per quanto riguarda i rischi ambientali, noi importiamo acqua virtuale anche da paesi che hanno sistemi di controllo o standard di qualità meno stringenti che in Europa, quindi ci esponiamo al rischio che i prodotti siano maggiormente esposti a fitofarmaci.

Almeno risparmiamo le nostre risorse idriche?

Se guardiamo in maniera miope possiamo dire che stiamo risparmiando, ma quello che succede nella realtà è lo spostamento della pressione idrica su zone che non sono necessariamente dotate di acqua. Combinando il dato dell’acqua virtuale – che è solo volumetrico – con altri dati riusciamo a capire quanti dei nostri consumi gravano su paesi che già soffrono di stress idrico. Importare acqua virtuale da un paese come il Canada, ricco di acqua, o dal Pakistan, che sta affrontando una severa crisi idrica, è molto diverso.

I flussi di acqua virtuale descrivono una forma di colonialismo idrico?

In parte il problema esiste, anche se bisogna sapere che il maggiore esportatore di acqua virtuale al momento sono gli Usa. D’altro canto ci sono aree, penso a certe regioni dell’Africa o dell’India, dove l’export di beni alimentari va ad agire su risorse idriche scarse. Queste distorsioni si creano perché le risorse ambientali, e quindi anche quelle idriche, non sono riconosciute da un punto di vista economico.

Come è possibile ridurre i consumi idrici legati alla produzione agricola?

La dieta può avere un grande impatto sui consumi di acqua. Sappiamo che la produzione di carne richiede quantità molto maggiori di acqua rispetto ad altri alimenti a parità di calorie. Certo, una mucca allevata al pascolo ha un’impronta idrica inferiore rispetto a una mucca di un allevamento convenzionale alimentata con mangimi. Ma quante sono le mucche allevate al pascolo? Quindi, sicuramente diminuire i consumi di carne può alleviare la pressione sulle risorse idriche, e questo è noto. Ma si può fare altro: per la produzione di pasta, l’industria sta investendo nella ricerca di varietà di grano che hanno bisogno di minori quantità di acqua. Siamo ancora su base volontaristica, ma la direzione è quella giusta: certo servirebbe uno sforzo maggiore in questo senso, anche da parte della politica.

Le infrastrutture italiane sono adeguate a gestire le risorse idriche?

Il sistema è sotto pressione e in più c’è l’incertezza sulle dinamiche climatiche perché non sappiamo come cambieranno le precipitazioni. In Italia il problema è infrastrutturale: la crisi idrica vissuta da Roma nell’estate nel 2017 era un problema di distribuzione. Serve una politica di investimenti delle strutture di captazione, accumulo e distribuzione dell’acqua, possibilmente svestita da preconcetti: gli invasi sono impattanti, ma servono – magari più piccoli, con un minore impatto ambientale – per rendere il sistema più resiliente. Naturalmente bisogna evitare le perdite, ma anche tornare al recupero delle acque piovane, come si faceva nelle culture tradizionali, può essere utile.

L’agricoltura biologica può aiutare a preservare le risorse idriche?

La questione è complessa. Con rese mediamente inferiori, l’agricoltura biologica è meno efficiente, quindi può portare a consumi maggiori. In compenso aiuta diminuire le acque cosiddette grigie e quindi l’inquinamento delle falde e dei suoli. Direi che a fare la differenza in agricoltura è la tipologia di irrigazione. Vedo un’evoluzione del sistema, ci sono tante iniziative a livello di distretto, l’acqua viene regolata con sempre maggiore attenzione.

Cosa è possibile prevedere per il futuro dei flussi di acqua virtuale?

Saranno sempre maggiori, il dato è univoco, ma la direzione dei flussi è in evoluzione. Possiamo dire con certezza che l’Ue sarà sempre più un importatore di risorse idriche, mentre si prevedono dei cambiamenti nel ruolo dei paesi dell’Asia orientale, in particolare la Cina che, da importatore qual è ora, diventerà esportatore. Questo succederà perché la popolazione cinese andrà a stabilizzarsi, mentre le rese agricole, in seguito alla modernizzazione delle campagne, aumenteranno e la Cina si troverà un surplus agricolo da esportare. Non sarà una sfida di poco conto.