C’è la piazza piena di militanti, risuona l’inno squillante del nuovo partito. È un filmato di vent’anni fa. Scorre sul grande schermo, mentre si ferma qualche curioso, rallentano un po’ i turisti e arrivano i giornalisti. A Roma, in piazza San Lorenzo in Lucina, nel triangolo dei palazzi della politica, si inaugura la nuova sede di Forza Italia. La piazza oggi è vuota. Sulla soglia del palazzo compare a un tratto Berlusconi, sembra staccato con cura dal videomessaggio che nel frattempo va sullo schermo, e sovrapposto a un altro fondale, come si fa con certi affreschi da restaurare. Questo invece si muove e scompare nell’atrio per cominciare il giro degli uffici ed ecco che va via anche il segnale tv. Si vede a tratti: Berlusconi in un corridoio che guarda un poster di se stesso più giovane. La linea cade, poi torna e c’è sempre lui che entra in una stanza e trova un dirigente di partito. Ecco Bondi, Prestigiacomo, Brambilla. Ecco Abrignani, Rotondi, Carfagna. Ecco Carraro, Nitto Palma e poi Guzzanti e infine Martino. Spuntano dappertutto, la stanza invece sembra sempre la stessa, gialla per un problema di luci. Il Cavaliere bacia e stringe mani. Dietro di lui si spintonano in spazi stretti Verdini, Alfano e Santanchè. Lo stop and go dei collegamenti sembra segnalare una prevalenza di Verdini, è quasi sempre lui spalla a spalla col Cavaliere, sorridente e confidente. Alla fine gli passa un microfono e Berlusconi si sistema dietro un tavolo. Comincia a parlare, la linea adesso sembra stabile, i cronisti aprono i taccuini. Ma parte uno scampanio fuori orario – sono le 17.38 – che copre ogni parola. Poi lo schermo si fa buio.

La nuova sede è accanto a una basilica cara ai monarchici romani e di fronte al lussuoso negozio di Louis Vuitton che quando aprì allora sì che c’era la folla. Si ricorda la piazza mezza piena anche in un paio di serate volgarotte per l’elezione di una certa miss. Per Forza Italia niente di paragonabile. Parecchi carabinieri, ma non erano lì per Berlusconi: nella piazza c’è il comando di Roma centro. Il discorso del Cavaliere si può ascoltare a scatti, la tecnologia sembra in effetti quella di vent’anni fa. Pare stia parlando di internet: «Ancora mi stupisco di quello che si può fare con un iPad». Cose del genere. «Basta un attimo e con internet si può sapere tutto del passato, tutto del presente e molto del futuro di ognuno di noi». Chissà che si dice del futuro di Berlusconi. Quello del governo sembra un po’ più sereno. Il Cavaliere non minaccia più. Anzi si mette, proprio lui, a ragionare sul valore della «stabilità». I suoi si dimenticano di applaudirlo. Probabilmente già sbirciano le tartine. Ma neanche il buffet – è l’indiscrezione che arriva a chi sta fuori – è più quello di una volta.

L’operazione nostalgia però va portata fino in fondo: da domani tutti i gruppi del Popolo della libertà devono cambiare nome in Forza Italia. «Il Pdl era diventato un acronimo senza smalto che non comunicava più le giuste emozioni». Una roba terribile e «da almeno due anni». Ma adesso che c’è stato il salto all’indietro, assicura ai suoi il Cavaliere, sono bastate poche ore e i sondaggi già si sono messi a sorridere. Le bandiere, le spille, le pareti azzurre e i gadget del candidato sono gli stessi, i «comunisti» sono diventati «la sinistra», ma gli scrutatori nei seggi sono rimasti dei nemici imbattibili: «Le elezione in realtà le avevamo vinte noi».
Servono rappresentanti di lista. Ma anche nuovi giudici in Europa. Perché le sentenze, teorizza il Cavaliere, «si rispettano solo se sono emesse da giudici imparziali». Però il comizio anti magistrati stavolta non decolla, il filone giustizia resta tutto nei sedici minuti del videomessaggio. Che a un certo punto torna a imporsi sul grande schermo della piazza, quando la linea dall’interno salta del tutto. Poi si blocca anche quello, e si vede solo il karaoke dell’antico inno, impietoso: … «Che siamo tantissimi…».
Sono invece pochissimi e Berlusconi se ne accorge quando si affaccia dal balcone. Rientra immediatamente. Meglio scivolare nella nostalgia, davanti ai suoi scatti e alle sue frasi celebri a parete. C’è un poster col suo profilo destro, il preferito, e un testo in corsivo bianco: «Tutta la mia vita, prima come imprenditore, poi come politico…». Un elogio o un epitaffio?

Sono agitati i colonnelli del partito mentre accompagnano ancora Berlusconi lungo i corridoi. Verso l’uscita, verso il crepuscolo. Ed è quasi già notte.